"Era difficile capire che cosa avessero in mente i cavalli;
la mattinata era bella ed essi correvano. Forse la corsa e il foraggio son le
sole grandi passioni equine, se si considera che Pepi e Hans erano castrati e
non conoscevano l’amore come esigenza tangibile, ma soltanto come un anelito e
una velatura che talvolta rivestiva di nubi sottili e lucenti il loro cosmo. Il
culto del foraggio si celebrava in una mangiatoia marmorea con biade squisite,
in una greppia piena di fieno fresco, al tintinnio degli anelli sulle cavezze;
e si riassumeva nelle esalazioni caldo-umide della stalla, il cui afrore
schietto, ammoniacale, penetrava come aghi in quel forte senso di
individualità: qui sono i cavalli!
In quanto alla corsa, doveva essere diverso.
Allora la povera anima è ancora legata al branco, ove da qualche parte giunge
al puledro che lo guida, o a tutti insieme, un impulso alla corsa, e si
slanciano tutti incontro al vento e al sole; perché quando l’animale è solo e
lo spazio gli sta aperto nelle sue quattro dimensioni, sovente un fremito di
follia gli attraversa il cervello ed egli scatta via al galoppo, senza meta, e
si precipita in una terribile libertà, che è vuota in una direzione come nell’altra,
finché smarrito si ferma, ed è facile allettarlo al ritorno con un sacchetto d’avena.
Pepi e Hans erano cavalli ben addestrati al tiro; si misero al trotto, battendo
con gli zoccoli la strada soleggiata con le siepi di case; gli uomini apparivan
loro come un brulichio grigio che non diffondeva né gioia né spavento; le
mostre variopinte dei negozi, le donne sfoggianti colori luminosi, erano pezzi
di prato non commestibili; i cappelli, le cravatte, i libri e i brillanti lungo
la strada, un deserto."
Robert Musil, "L'uomo senza qualità"