1 Premessa – L'Esposizione Internazionale di Milano
rappresenta un'occasione importante di confronto critico su alcuni degli
argomenti che sempre più impegneranno il dibattito del mondo scientifico e
politico: quelli, cioè, relativi all’alimentazione e alla capacità di
nutrimento di una popolazione in continua crescita (Vacchelli, 2015). Scopo di
questo contributo è fornire alcuni spunti di valutazione relativi all’impatto
dell’industria zootecnica sull’ambiente e sulla capacità di nutrimento della
popolazione umana, e al conseguente ruolo della responsabilità individuale
nelle scelte alimentari.
2 Ogni anno una Germania
in più – Il forte incremento
demografico è uno dei dati più fortemente caratterizzanti il tempo nel quale
viviamo, foriero di incognite che da diversi fronti costringono a un radicale ripensamento delle dinamiche economiche e sociali.
La
popolazione mondiale ha raggiunto infatti, da diversi anni, un tasso di
crescita annua superiore all'1%: questo significa che ogni dodici mesi è
necessario sfamare all'incirca 80 milioni di nuovi esseri umani, una
popolazione pari a quella dell'intera Germania che ogni anno si affaccia a un
già sovraccarico mercato alimentare mondiale.
Fonte: Population Division of the United Nations Department
of Economic and Social Affairs
La
crescita è inoltre destinata ad accelerare grazie al progressivo sviluppo delle
condizioni di vita generali e ai progressi in campo medico. L'aspettativa di
vita mondiale è cresciuta di 2 anni fra il 2005 e il 2013, passando da 69 a 71:
il dato è frutto della media fra dati fortemente dispari, che separano i paesi
maggiormente sviluppati (primo fra tutti il Giappone, con una vita media di 83
anni) e i paesi più poveri: un bambino nato nel 2013 in Sierra Leone, in
Botswana, nello Swaziland o nel Lesotho può ha un’aspettativa di vita inferiore
ai 50 anni[1]. Quando queste differenze
dovessero auspicabilmente ridursi, il dato relativo alla crescita della popolazione
non potrà che aumentare ulteriormente.
In
questo senso è possibile calcolare che, senza grossi cambiamenti, nei prossimi
10 anni la popolazione mondiale dovrebbe crescere del 12%, cioè di oltre 850
milioni di persone, con una vita media fino a 73 anni: ma le proiezioni
ufficiali parlano di un incremento di gran lunga maggiore, che potrebbe portare
il mondo a toccare i 9 miliardi fra appena dieci anni[2].
È
fin troppo evidente come questi dati ci costringano a un generale e rapido
ripensamento dell'intero sistema-mondo, allo scopo di garantire a tutti questi
nuovi cittadini il diritto alla sicurezza alimentare.
Non
è dunque più rinviabile il problema della capacità alimentare di una terra
sempre più al limite, sulla quale pesano gravissime disparità nella catena
distributiva: a crescere di numero è principalmente la popolazione dei paesi a
minor tasso di sviluppo; parallelamente, nei paesi più sviluppati, cresce il
consumo e lo spreco alimentare, incrementando una disparità di mercato che nel
frattempo danneggia le economie locali e accresce la povertà.
Secondo
la Banca Mondiale, per sfamare i 9 miliardi di uomini che abiteranno la terra
nel 2025 sarà necessario aumentare la produzione di cibo almeno del 50%: una cifra
enorme che, rebus sic stantibus, supera
inevitabilmente la possibilità del pianeta. Umberto Veronesi ha recentemente
denunciato, infatti, come sia paradossale che nel mondo ci siano oltre 800
milioni di persone soggette a una grave malnutrizione, mentre la
sovralimentazione dei paesi più ricchi mette a repentaglio la salute dei
cittadini causando l'insorgere delle nuove malattie legate al disordine
alimentare (diabete, obesità, tumori, malattie cardiovascolari). «In questo
stesso istante c'è chi muore per poco cibo e chi muore per troppo cibo»[3]: con questa espressione
l'oncologo riassume il paradosso del disordine di una catena distributiva delle
risorse alimentari, e soprattutto denuncia l'insostenibilità del nostro sistema
alimentare nei prossimi anni, salvo una radicale revisione.
3
Il problema dell'acqua e l’industria zootecnica – All'interno di questo quadro assume
inoltre una crescente importanza una risorsa che negli ultimi decenni abbiamo
dato per scontata: l'acqua (Leto, 2009). La sempre maggiore domanda di acqua
potabile da parte della nuova popolazione mondiale si scontra infatti con una
crescente carenza idrica legata in parte ai cambiamenti climatici, in parte
agli sprechi di cui si rendono responsabili sia l'agricoltura sia l'industria, sia
anche la stessa popolazione dei Paesi a maggior tasso di ricchezza. Il problema
dell'accesso all'acqua potabile è infine una delle cause di maggior tensione
geopolitica, foriera di sviluppi imprevedibili.
L'Unione
Europea ha recentemente dovuto affrontare in maniera imponente l'emergenza
legata a una carenza idrica che riguarda l'11% della popolazione e il 17% del
territorio europeo. Negli anni tra il 1976 e il 2006 il numero delle aree e
degli abitanti colpiti da siccità è aumentato di un quinto, costringendo il
vecchio continente a una spesa di oltre 100 miliardi di euro (Commissione
Europea, 2010).
In
questo quadro diviene indispensabile porsi il problema del futuro accesso delle
risorse idriche, e di come riorganizzare l'agricoltura e l’industria per
ridurre il più possibile l'impatto ambientale soprattutto in relazione alla
carenza idrica e alla crescita di domanda alimentare.
Fra
le attività umane di maggiore impatto ambientale emerge l’industria zootecnica.
Già nel 2009 un documento dell'Unione Europea denunciava come per produrre 1kg
di carne bovina fosse necessario il consumo di ca. 16.000 litri di acqua,
mentre ne servono meno di 1.000 per produrre una pari quantità di cereali ad
alto contenuto proteico. Nel processo di produzione di carne, infatti, viene
utilizzata una grande quantità di acqua sia per abbeverare gli animali, sia nella
macellazione, sia soprattutto per coltivare il foraggio ad essi destinato.
Oltre al consumo di acqua, infatti, nel processo di produzione di carne vanno
persi i 9/10 delle risorse alimentari utilizzate: in un animale da allevamento,
soltanto il 10% del cibo assunto si trasforma in carne edibile, mentre il
restante 90% viene consumato dall'animale stesso per consentire le funzioni
vitali (Mekonnen, 2010).
In
un mondo a risorse alimentari sempre più ridotte salta agli occhi come vengano
utilizzati, per foraggiare gli animali da macello, addirittura il 33% del mais,
il 50% dei cereali e il 75% della soia coltivata sul pianeta, da cui il
consumatore ricaverà soltanto il 10% delle calorie utilizzate. Per comprendere
al meglio il paradosso basti pensare che i 7 miliardi di animali allevati nei
soli Stati Uniti d'America consumano una quantità di grano 5 volte superiore a
quella direttamente consumata da tutta la popolazione statunitense (Pimentel, 2003).
Da un punto di vista di apporto nutrizionale, poi, per produrre 1kg di proteine
animali sono necessari ben 6kg di proteine vegetali, mentre il rapporto
calorico è addirittura di 1 a 28.
Un
altro aspetto legato all’industria zootecnica è il consumo di suolo: il 30%
delle terre emerse non coperte da ghiacci è destinato all’allevamento di
animali (fra pascoli e colture riservate al foraggio) con un tasso di espansione
che sta causando la distruzione di migliaia di ettari di foreste, oltre
all’erosione di terre fertili specialmente nelle zone semiaride, dove i pascoli
favoriscono l’avanzata dei deserti (Schillaci, 2013)[4].
Anche
analizzando l'impatto degli allevamenti sulla qualità dell'ambiente emergono
dati di grave insostenibilità: secondo la FAO ben il 18% delle emissioni
inquinanti causate dall’uomo proviene dalle attività di allevamento e
macellazione degli animali[5] (Steinfeld, 2006), e sempre
gli allevamenti consumano fino a 54 volte più energia di origine fossile
rispetto a una pari produzione di alimenti vegetali.
Fonte: FAO
Fig. 3 – Quantità di alimenti proteici,
in grammi pro capite per diem, disponibili nel mondo ogni anno.
4 Per uno sviluppo
sostenibile e responsabile – L’occasione di EXPO 2015 sarà giudicata soprattutto dall’eredità
di indirizzi e orientamenti che lascerà in particolare ai giovani, considerati
tra i principali destinatari del messaggio dell’esposizione (Brusa, 2014).
Perché
questo evento contribuisca a generare una nuova coscienza, più rispettosa e
consapevole nei confronti delle grandi tematiche destinate a occupare i primi
posti delle agende del futuro, è auspicabile che i contenuti dei padiglioni
siano orientati alla trasmissione di messaggi coerenti con il sistema di valori
dello sviluppo sostenibile e responsabile (Leto, 2005).
Le
generazioni a venire dovranno infatti pianificare uno sviluppo il più
compatibile possibile con le vere e proprie emergenze di cui stiamo avendo presagio
e che sempre più coinvolgeranno le scelte della politica e degli individui. Ed
è per questo che assume oggi una sempre maggior importanza la responsabilità
dei singoli cittadini: se infatti da un lato è fondamentale che le istituzioni
pubbliche facciano quanto in loro potere per correggere le dinamiche
macroeconomiche che sono alle origini delle disparità economiche e sociali, è
altrettanto fondamentale che nel processo intervenga l’acquisizione di una
responsabilità individuale senza la quale non sarà possibile alcun cambiamento
di lunga durata (Leto, 2005).
Le
scelte individuali relative all’alimentazione, in questo senso, rappresentano
un paradigma fondamentale per quanto riguarda l’impatto di una cultura alimentare
oramai insostenibile sia a livello ambientale e sociale sia per quanto concerne
la salute stessa dei cittadini (Rifkin, 2001). La drastica riduzione del
consumo di alimenti di origine animale, cui stiamo assistendo negli ultimi anni
nei paesi maggiormente sviluppati, è difatti un importante segnale di
responsabilità individuale nella gestione del rapporto tra l’uomo e il
territorio, che va nella direzione dello sradicamento di abitudini alimentari che
danneggiano l’ambiente e le economie dei paesi più poveri; si tratta di scelte
tutt’altro che simboliche, in grado di incidere profondamente sulla realtà: basti
pensare, a riguardo, che se la popolazione italiana decidesse di astenersi dal
consumo di carne per un solo giorno alla settimana, la riduzione di emissioni
di CO2 in un anno sarebbe paragonabile al ritiro di un decimo delle automobili italiane
circolanti[6].
In
questo senso il ruolo delle strutture statali e sovrastatali e delle
organizzazioni internazionali, e il ruolo stesso di EXPO, dovrà essere quello
di orientare e accompagnare le scelte di responsabilità, fornendo i dati e gli
indirizzi e agevolando la creazione di contesti favorevoli a quel necessario
ripensamento collettivo della nostra cultura alimentare, presupposto insostituibile
per la sopravvivenza stessa dell’uomo sulla terra.
Bibliografia:
BOER, J. DE,
SCHÖSLER, H., BOERSEMA, J.J., « Climate change and meat eating: An inconvenient
couple?», Journal of Environmental
Psychology, 33(1), pp.1-8.
BOER J. DE,
SCHÖSLER H., AIKING H., «“Meatless days” or “less but better”? Exploring
strategies to adapt Western meat consumption to health and sustainability
challenges», Appetite, 76, pp.
120-128.
BRUSA
C., «Spunti per una lettura geografica dei temi di Expo 2015», Nuova Secondaria, 2, 2014, pp. 50-57.
COMMISSIONE
EUROPEA, Carenza idrica e siccità
nell’Unione Europea, 2010. Disponibile su .
FANELLI D.,
«Meat is murder on the environment», New
scientist, 2613, 2007.
LETO
A., Alle origini dello Sviluppo
Sostenibile: l’Uomo fra Crescita e Sviluppo, Cr.Edi., Milano 2005
LETO A., Water Today, Elvetica Edizioni, Chiasso
2009.
MEKONNEN M.M.,
HOEKSTRA A.Y., The green, blue and grey water footprint of farm animals and
animal products, Value of Water Research
Report Series n.48, UNESCO, Delft 2010.
PIMENTEL D.,
PIMENTEL M., «Sustainability of meat-based and plant-based diets and the
environment», American Journal of
Clinical Nutrition, 78, 3, 2003, pp. 6605-6635.
RIFKIN
J., Ecocidio. Ascesa e caduta della
cultura della carne, Mondadori, Milano 2001.
SCHILLACI
F. (a cura di), Un pianeta a tavola,
Edizioni per la decrescita felice, Roma 2013.
SCHÖSLER, H.,
BOER, J. DE, BOERSEMA, J.J., «Can we cut out the meat of the dish? Constructing
consumer-oriented pathways toward meat substitution», Appetite, 58, pp. 39-47.
STEINFELD H.
GERBER, P., WASSENAAR, T., CASTEL, V., ROSALES, M., HAAN, C. DE, Livestock's Long Shadow, FAO, Roma 2006.
UNEP-UNITED
NATIONS ENVIRONMENT PROGRAMME, Kick the
habit, UNEP, Malta 2008.
VACCHELLI
O., «Per una nuova alleanza tra uomo e ambiente verso EXPO 2015», Ambiente, società, territorio, 2, 2015.
VERONESI,
U., PAPPAGALLO, M., Verso la scelta
vegetariana, il tumore si previene anche a tavola. Giunti, Firenze 2011.
Michele Pigliucci
Università
degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Dipartimento di Scienze Storiche,
Filosofico-Sociali, dei Beni Culturali e del Territorio.
[1] Dati della Banca Mondiale, 2013
.
[3] VERONESI U., «Malnutrizione
e obesità. Il paradosso da eliminare», Il
Corriere della sera-EXPO, 1 maggio 2015, p. 3.
[4] Il problema dell’erosione del suolo
causa la perdita di circa 75 miliardi di tonnellate di suolo l’anno. Gli USA
hanno perso, negli ultimi due secoli, circa un terzo delle proprie terre
fertili. Una quota pari al 55% del fenomeno è causata dall’allevamento
(Schillaci, 2013, p. 41).
[5] In particolare gli allevamenti
sarebbero responsabili del 37% delle emissioni di metano e del 65% delle
emissioni di protossido di azoto provenienti da attività umane (UNEP, 2008, p.
43).
[6] Dati calcolati sulla base dello studio
svolto dal Institute for Environmental Studies, Free University of Amsterdam,
relativo alla popolazione olandese. < http://www.ivm.vu.nl/>
