
E così, orfana
di una guida e privata del presupposto di superiorità morale, la Destra
politica ha concluso il proprio percorso in una violenta esplosione, lasciando
dietro sé una lunga scia di frammenti che hanno proseguito per inerzia la
caduta, privi di traiettoria.
Inutile cercare
scuse: non ci è mancato il fiato per correre, ma il coraggio di farlo.
Non riuscendo a
fare la rivoluzione tradizionalista siamo saliti mestamente sul predellino di
una “rivoluzione liberale” che si è presto rivelata una stanca reazione dai
contorni confusi, con tante belle donne e pochi contenuti. Coloro che dovevano guidarci
sono stati sopraffatti dalla fame e si sono seduti al tavolo che avrebbero
dovuto ribaltare, ignorando forse il significato di quel pasto: invece di
cambiare il sistema dall’interno ne siamo diventati ingranaggi.
Non sono
lacrime di coccodrillo: chi scrive ha sempre ritenuto folle mescolare
esperienze politiche radicalmente differenti in un unico contenitore
"popolare", adatto alle nebbie nordeuropee e incapace di descrivere
le nostre bizantine differenze.
Le colpe sono
proporzionate alle responsabilità, ma nessuno può sentirsi assolto: trovato
l'anello del potere, invece di distruggerlo nel Monte Fato abbiamo pensato di
poterlo utilizzare a nostro piacimento.
Siamo stati
troppo uomini e poco hobbit.
In questo
quadro si è posta la scelta, coraggiosa ma tardiva, di fondare Fratelli
d'Italia: il nuovo partito intendeva raccogliere intorno a sé gli orfani della
cultura politica tradizionalista, proponendo inizialmente non la stanca
riedizione di AN ma il recupero dell'asse con il mondo cattolico e il mondo
liberale ma con un maggiore equilibrio fra le parti, che avrebbero dovuto
conservare le proprie sacrosante specificità.
Ma a un anno e
mezzo dalla sua fondazione le cose non stanno andando come sperato: al di là
dei dati elettorali (tutto sommato discreti) la sensazione è che il partito non
sia in grado di proporre una visione del mondo che gli permetta di andare oltre
la propria sopravvivenza elettorale, e soprattutto che abbia rinunciato al
proprio compito storico di trasmettere un sistema di valori, di proteggere un
ordine tradizionale, di difendere un mondo sotto minaccia di estinzione.
La mancanza di
visione prospettica ha generato un disamoramento proprio da parte degli eredi
della cultura politica sulla quale il partito si sarebbe dovuto fondare,
lasciando un vuoto che viene piano piano occupato da micro potentati di respiro
locale, animati da contingenze elettorali e incapaci di garantire una stabilità
di progetto e di costruire un'efficiente struttura partitica. Per farla breve,
stiamo prendendo il peggio del PdL.
Mi permetto per
questo di offrire al dibattito interno qualche elemento per il recupero di una
strategia che ci permetta di rettificare la rotta; nel farlo ricordo a me
stesso quanto sia importante, per non perseverare con i propri errori
rendendoli irrimediabili, sapersi fermare a riflettere con coraggio e
coscienza, nella consapevolezza che non vi è altra nobiltà nella politica se
non nel dono realmente disinteressato di sé, e nel servizio per la causa. Nella
quale, spero, crediamo ancora tutti.
·
Parlare alla
testa e al cuore, non alla pancia.
Non siamo la
Lega, non vogliamo essere la Lega, Dio ci scampi dal diventare come la Lega.
Il partito di
Salvini è lo stesso partito delle ampolle di Bossi, della laurea del Trota, dei
diamanti di Belsito e delle magliette di Calderoli. È il partito del
"celodurismo" e del Tricolore da mettere "al cesso", della
xenofobia e dell'ignoranza produttiva contrapposta alla cultura improduttiva.
La Lega prende
voti perché parla alla pancia della gente, anzi al ventre molle e grasso, e le
posizioni radicali gridate con voce roca con linguaggio da caserma sono una
ricetta infallibile per alzare di un paio di punti il consenso elettorale.
FdI sembra
tendere in quella direzione, sembra voler rubare i voti padani e per farlo sta
assumendo lo stesso linguaggio politico delle peggiori camicie verdi: perciò si
definisce l’operazione Mare Nostrum
un’“idiozia”, ci si dichiara “fieri di essere ignoranti”, si invita a “mandare
a quel paese” il ministro bavarese e si sceglie di intitolare una manifestazione
per i marò "Fuori le palle".
Non so quale
sia oggi il nostro modello di riferimento politico, se Giorgio Almirante, o
Pino Rauti, Ernesto Massi, Gianfranco Fini o Giulio Andreotti, Amintore Fanfani
o Don Luigi Sturzo, ma nessuno di questi personaggi è mai ricorso al
turpiloquio per prendere voti.
La forma è
sostanza.
FdI deve
recuperare il linguaggio della Destra nazionale: deve saper parlare a tutte le
classi sociali la lingua della Patria, deve proporre una visione del mondo e
non soltanto la rabbiosa reazione ai problemi contingenti, non limitarsi a fare
leva sulla paura o sul sensazionalismo ma proporre piuttosto un messaggio
forte, rivoluzionario, rivolto alla costruzione di un mondo migliore, e non al
semplice sfruttamento elettorale dell’ignoranza.
Ogni elezione è
un battaglia e comporta un forte momento di accelerazione nel quale tutto viene
sospeso, rimandato, commissariato. Ma con la scusa dei continui momenti di
accelerazione ci siamo oramai abituati a vivere soltanto in funzione delle
elezioni, trascorrendo buona parte del tempo rimanente nell'inerzia o nel
recupero delle energie per il successivo appuntamento.
Un partito che
si rispetti, e che intenda svolgere interamente la propria funzione politica,
sociale e culturale, è un partito visibile e attivo anche e soprattutto nei
momenti privi di scadenze elettorali, e in grado di gestire le stesse non come
emergenze ma come tappe intermedie di uno stesso cammino.
FdI dovrebbe
proporre un modello culturale e valoriale, e non soltanto un cartello
elettorale. Avere il coraggio di difendere le proprie idee anche se le stesse
dovessero non portare o far perdere voti.
E, soprattutto,
nell'epoca in cui la crisi economica comporta una occupazione dell'agenda
politica da parte dei temi economici e la percezione della superiorità delle questioni
economiche rispetto alle questioni politiche, FdI deve avere il coraggio di
rendere testimonianza del proprio sistema di valori, di saper parlare di grandi
temi, perché lo scopo del partito è costruire la comunità nazionale, non
vincere le elezioni.
È una questione
di non poco conto: bisogna ricominciare a parlare alla testa e al cuore del
popolo italiano. La pancia lasciamola a Salvini.
·
Le primarie a
tutti i livelli. Una scelta già fatta.
Personalmente
non sono un entusiasta delle primarie. Il ruolo principale di un partito è
quello di selezionare e formare la propria classe
dirigente e di proporla agli elettori assumendosene la responsabilità: le
primarie spesso rappresentano la scusa per non esercitare questa responsabilità.
Tuttavia la
scelta delle primarie è già stata fatta da FdI, ed è
perciò irrinunciabile. Chi ha fondato questo partito lo ha fatto proprio in
polemica con il meccanismo imposto da Berlusconi che aveva trasformato il PdL in
un organo di sola ratifica delle decisioni del capo. Come i congressi, le
primarie a tutti i livelli sono un elemento irrinunciabile della stessa
esistenza di FdI, pena la contraddizione degli stessi principi fondativi.
Ed è importante
non prenderci in giro: non bastano le "primarie delle idee", o i
congressi a più o meno vasta partecipazione popolare e a candidato unico.
Servono le primarie a ogni livello, e soprattutto le primarie per la scelta dei candidati alle elezioni comunali, alle
regionali, alle politiche e alle europee. Questo è l'unico sistema possibile
per impedire la creazione di un nuovo feudalesimo di partito e l'affermazione
di nuovi vassalli, valvassini e valvassori, simili a quelli da cui siamo
fuggiti nauseati.
Altrimenti,
quantomeno, smettiamo di usare il motto “100% democrazia”.
·
La società
civile
Come dice
giustamente Giorgia Meloni: non c'è nulla di più civile di chi mette la propria
vita a disposizione del bene comune, attraverso lo strumento della militanza
politica.
E quindi è
giusto contrapporre alla retorica qualunquista grillina un esercito di
volontari pronti a sacrificare il proprio tempo (e spesso non solo) al servizio
di un’idea, per costruire un mondo migliore.
Ma questo discorso
rischia di nascondere un’autoreferenzialità pericolosa; non si può cambiare il mondo se prima non lo si capisce, e per
capirlo c'è assoluto bisogno di dialogare, di confrontarsi, ma anche di
coinvolgere nelle decisioni coloro che non fanno politica: fra questi sicuramente
chi produce reddito, ma anche chi produce cultura e valore sociale.
Come il PdL,
FdI è diventato il "partito degli eletti": i principali organi
decisionali sono totalmente composti da "eletti" negli enti locali,
tanto che la gerarchia di partito è oramai diventata la gerarchia dei ruoli
elettivi.
Forse il
partito può fare a meno di quanti hanno scelto di “servire l'idea” nel mondo produttivo,
nelle aziende, nelle accademie, nei sindacati, negli istituti culturali, nelle
Forze Armate, nella costruzione di una famiglia? Queste persone - che sono la
realtà viva del Paese - devono essere coinvolte ai massimi vertici del Partito
in proporzione con il contributo di valore che possono portare alla causa,
anche se non hanno la ventura di amministrare un ente locale.
Non è solo di
voti che abbiamo bisogno, ma di idee.
·
Meritocrazia e questione
morale. Una volta ancora.
Parliamo fuori
dai denti: quando abbiamo governato, siamo diventati troppo simili a chi
combattevamo. Forse non abbiamo rubato, ma sicuramente in alcuni casi abbiamo seguito
parametri differenti dal merito.
Nella Destra
esiste l'attitudine a pensare che chiunque faccia parte del proprio
schieramento sia automaticamente la persona migliore per occupare qualsiasi
posizione: questo ha significato, in alcuni casi, che ad occupare alcune posizioni
siano andati militanti della prima ora, pur se incapaci. Ma quando si sta
assegnando una posizione a qualcuno, in un ruolo pubblico, si sta facendo un
servizio buono o cattivo al popolo italiano. Qualunque scelta fatta nei posti
di potere avrà conseguenze sulla vita del popolo italiano: e se le scelte
saranno sbagliate, a pagare sarà la povera gente.
A volte abbiamo sostituito i ladri capaci della prima
Repubblica con degli onesti non sempre capaci. Siamo sicuri sia meglio?
Che ci piaccia
o no, nelle stanze dei bottoni devono andare coloro che credono nei nostri
valori, ma che hanno la cultura e le competenze per saper manovrare quei
bottoni: non basta aver frequentato per anni una sezione, né tantomeno avere un
pacchetto di voti.
Si tratta di una
scelta per il futuro: contribuire a costruire un paese migliore significa anche
assumere credibilità di fronte al popolo italiano.
Allo stesso
modo dobbiamo essere rigorosi, al nostro interno, su ciò riguardo al quale
chiediamo rigore alla società.
Non è
tollerabile che un consigliere regionale, condannato in via definitiva per
reati connessi al proprio esercizio pubblico, rimanga seduto sulla propria
poltrona senza dimettersi, senza essere cacciato dal partito, e senza neanche essere
sottoposto a giudizio da qualche organo interno; e questo malgrado dichiarazioni,
promesse, garanzie.
Non eravamo noi
a dover "seguire l'esempio, ed essere da esempio"?
[Dopo la pubblicazione dell'articolo mi fanno notare che, nel caso citato, la condanna era di primo grado e la persona è stata sottoposta al procedimento da parte della commissione garanzia e probiviri del partito. Pur restando convinto del principio che intendevo esprimere, mi scuso dell'errore e auspico che nel futuro venga data maggiore pubblicità a questi provvedimenti]
[Dopo la pubblicazione dell'articolo mi fanno notare che, nel caso citato, la condanna era di primo grado e la persona è stata sottoposta al procedimento da parte della commissione garanzia e probiviri del partito. Pur restando convinto del principio che intendevo esprimere, mi scuso dell'errore e auspico che nel futuro venga data maggiore pubblicità a questi provvedimenti]
·
Chi ha cambiato
idea?
Tutto ciò di
cui ho parlato sta producendo anche una grande, grave confusione sul piano dei
valori. Domandarsi a quale sistema di valori facciamo riferimento è ancora necessario,
perché se non si ha chiaro questo si rischia di rimanere confusi nella loro
applicazione. Un documento di qualche anno fa descriveva i valori come “le
stelle fisse” che indicano al viandante la direzione: sarebbe interessante
chiedere ai nostri militanti e simpatizzanti di comporre la propria lista di
valori fondamentali e irrinunciabili.
Probabilmente,
anche se dirlo suona male, il risultato sarebbe il trinomio senza tempo: "Dio-Patria-Famiglia".
Ricordo ancora quando qualche anno fa Gianfranco Fini, dal palco della
manifestazione che si svolgeva ogni anno il 4 novembre a Bolzano, dopo aver
sostenuto che bisognava tutelare la “minoranza italiana” in Alto Adige, propose
un nuovo trinomio valoriale: "Patria-Famiglia-Lavoro". L'operazione
era fin troppo chiara: eliminare "Dio" come valore della Destra, cui di
lì a poco avrebbe seguito l'eliminazione della Famiglia e anche della Patria.
FdI deve avere
il coraggio di recuperare questi valori imprescindibili: "Dio"
significa credere nella sacralità, nella dignità e nell’intangibilità della
vita, nella trascendenza, nell'immortalità dell'anima e nella fratellanza
umana, nell'ordine naturale. Al di là della fede personale dei singoli, quello
che chiamiamo "Dio" è un valore imprescindibile della Destra. Con
buona pace di Gianfranco Fini.
Bisogna
recuperare senza vergogna il termine “Patria”, per quanto desueto, perché amare
la Patria è dovere di ciascuno. Per edificarla, unificarla e proteggerla i
nostri padri hanno versato fiumi di sangue, sacrificando la propria felicità,
il proprio patrimonio, la propria stessa vita. È la terra che ha dato i natali
ai nostri eroi, ai nostri santi, agli artisti, agli esploratori e agli
scienziati che hanno onorato e reso grande la nostra terra. È nostro dovere
amarla e difenderla, perché è parte di ciò che siamo, è il presupposto stesso
della nostra identità.
"Famiglia",
infine, il più piccolo dei cerchi concentrici perché è la dimensione più intima
della vita sociale. Gli alfieri della modernità anti-tradizionalista portano
avanti da anni una guerra a tutto campo contro questo che è il nucleo fondante
la società, e che nella sua perfezione insostituibile rappresenta il compimento
della natura di ciascun uomo.

Queste precisazioni sono rese necessarie dal fatto che sempre più spesso FdI sembra brancolare nel buio in quanto al proprio ruolo nella politica e nella società italiana ed europea. Il voto favorevole al divorzio breve, la minore attenzione ai valori tradizionali, le prime goffe aperture al "matrimonio" omosessuale, sono dimostrazioni di una grande e grave confusione valoriale, che alimenta i problemi interni di cui ho parlato.
Il risultato è
che il panorama politico è rimasto gravemente impoverito dall'assenza di una
componente sociale e identitaria, nazionalista e comunitarista, tradizionalista
e rivoluzionaria, che ha svolto nei decenni scorsi un ruolo insostituibile di
argine contro la modernità, contro il pensiero debole, contro il meticciato
culturale.
Solo attraverso
la cultura intesa come capacità di comprendere il mondo e di ascoltare le
opinioni altrui, come fedeltà al proprio sistema di valori, potremo recuperare
la capacità di rappresentare quella "forza tranquilla" consapevole
del proprio passato e intransigente sulla strada da percorrere nel futuro.
Si tratta di
fermarsi a osservare la bussola e riprendere la rotta, aggiustandola in base
alla posizione di quelle stelle fisse che, a differenza di noi, non possono
sbagliare direzione.
In gioco c’è
qualcosa di più importante del futuro del partito. In gioco c’è il futuro del
nostro popolo.