Riuscivo a sentire il battito frenetico del cuore della cavia quando
la presi in mano...Articolo pubblicato il 31 marzo 2007 dal quotidiano
inglese "The Guardian".
Dalla voce di un ex-vivisettore, tutto
l'orrore di questa pratica, e il perche' continua a esistere e a essere
insegnata nelle universita' come fosse cosa dovuta e normale.
Iniziò
tutto quando ero uno studente universitario di medicina. Venimmo
abituati gentilmente; iniziammo guardando video di esperimenti su
conigli anestetizzati e prendendo nota dei risultati. In seguito
effettuammo esperimenti sulle zampe delle rane e poi sui cuori.
Prendevamo la cosa seriamente e 15 anni dopo ricordo ancora i principi
fisiologici che imparavamo in quegli esperimenti. Così sembrava ne
valesse la pena. Quando iniziai il dottorato, dovetti frequentare un
corso che insegnava a occuparsi degli animali sotto anestesia e
ucciderli con umanità.
Gli esperimenti sugli animali sono
rigidamente normati in Gran Bretagna; è necessaria una licenza dal
Ministero degli Interni e si devono fare esami e test pratici per
dimostrare la propria competenza. Il corso fu spaventoso. Guardavamo un
video su come uccidere gli animali - gente con maschere e camici da
laboratorio che sbattevano gli animali sul lato di un tavolo o gli
spezzavano il collo - e poi discutevamo tranquillamente di etica, come
se tutto avesse senso. Il problema è che non ce l'aveva - ma devo
essermi perso il pezzo in cui ci incoraggiarono a metterlo in dubbio.
Quando
iniziai a lavorare nel laboratorio di ricerca, venne il mio turno.
Eravamo attentamente supervisionati e non ci veniva fatta fretta di
uccidere animali prima che fossimo sicuri di poterlo fare in modo
appropriato.
Ma non mi sembrava giusto fare gli esperimenti senza
compiere anche l'uccisione. Riuscivo a sentire il battito frenetico del
cuore della cavia quando la presi in mano; non era l'unica ad essere
nervosa. E poi lo feci. Le sbattei la testa sul lato del tavolo per
tramortirla, poi le tagliai la gola e morì dissanguata. Il rumore del
cranio che sbatte contro il tavolo non mi lascerà mai; 10 anni dopo
sobbalzo ancora quando sento un suono simile.
In alcuni
laboratori, il danno psicologico che questa tecnica infligge sullo staff
è ben noto e agli animali viene perciò iniettata una dose mortale di
anestetico. Ma questo è molto più doloroso per l'animale e può
danneggiare il tessuto sul quale si vuole sperimentare. Così li
colpivamo sulla testa e vivevamo con il suono di crani rotti.
Presto divenne più facile. Ciò che all'inizio mi aveva scioccato fu all'improvviso molto normale e banale.
Sbattere
la nuca delle cavie e poi tagliare loro la gola non mi faceva davvero
più effetto. E sembrava non fare alcun effetto a nessun altro. I
colleghi mi dissero che era una strategia del tutto naturale per
farcela, che semplicemente non lo avresti potuto fare senza
razionalizzarlo nella tua testa. Gli amici immaginavano che stavo
facendo sicuramente della ricerca medica che valeva disperatamente la
pena per giustificare un tale comportamento, che stavo per scoprire la
cura per l'AIDS o per le malattie cardiache. La verità è che il lavoro
di ricerca procede spesso per tentativi ed è solo il senno di poi che ci
permette di giudicare quali erano le scoperte utili.
Nel
frattempo il palazzo nel quale lavoravo era sotto assedio da parte degli
antivivisezionisti. Un importante leader per i diritti degli animali
stava facendo lo sciopero della fame in prigione. I suoi sostemitori
avevano fatto circolare una lista di accademici che avrebbero ucciso per
vendetta se il leader fosse morto.
Eravamo circondati da barriere
di acciaio e da poliziotti a cavallo dalle facce severe. L'auto del
dipartimento aveva uno specchietto su un'asta, così da poter controllare
se sotto c'erano bombe. Ma a volte avere un nemico contro il quale
unirsi rende più facile non mettere in dubbio ciò che si sta facendo. E
una volta che ci sei dentro è difficile uscirne.
Quando ebbi
terminato il mio dottorato triennale, me ne andai. Ero diventato un uomo
che pensava fosse normale uccidere animali quotidianamente e non
soffrirne, il che non era esattamente ciò che volevo essere.
Un
anno dopo che avevo terminato presi in mano di nuovo una cavia. Era una
di quelle molto pelose, la cui testa e coda erano difficilmente
distinguibili. Non dissi al suo proprietario cosa facevo una volta.
Avevo un irrazionale timore di andare fuori di testa all'improvviso e
colpire il povero animale. Non lo feci, ma dovetti nascondermi le mani,
che tremavano quando lo rimisi giù.
Ora mi considero riabilitato.
Ho ucciso solo due animali da allora: un uccello selvatico senza una
zampa e brulicante di vermi e un coniglio mezzo morto con una
mixomatosi. Entrambe le volte poi ho vomitato di puro orrore. Ma questa è
una reazione naturale e ne sono felice.
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Fonte: The Guardian, I was a vivisectionist - Da AgireOra Network: www.agireora.org
http://www.mednat.org/vivisezione.htm
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