Sta faticando a morire questo anno orribile, il dodicesimo da quando un gattopardesco fuoco d'artificio ha bruciato le paure millenarie rinviandole di altri dieci secoli.
Sta faticando a morire, ma anche per lui è un destino inevitabile, e non lo può rinviare. Non è così per tutti: qualcuno potrebbe quantomeno rinviare il proprio appuntamento con il destino e da ieri sera mi chiedo, senza soluzione, quale sia lo strano meccanismo che convince un uomo che quello, e non un altro è il giorno, l'ora e il luogo giusto per morire.
Se mai una incomprensibile disperazione mi portasse a decidere di non dover decidere mai più, se mai accadesse non mi risolverei in alcun modo su quale sia il momento migliore. Potendo, come decidere scientemente che non si vedrà l'alba di domani? Come decidere che, potendo, non si getterà mai più un occhio fra le calli nebbiose di Venezia? Come vietarsi l'ultimo bacio di chi si ama, e poi un altro e un altro ancora, e ancora, e ancora..?
Mi piacerebbe poterlo chiedere all'uomo che ha deciso di porre fine alle sue sofferenze aprendo le braccia contro il treno sul quale viaggiavo.
Non ho potuto vederlo ma l'ho sentito distintamente rotolare e sbattere trascinato sotto tutti i vagoni, proprio sotto il mio sedile, in una graniglia di ciottoli.
Non è bello assistere al momento in cui qualcuno perde la vita, specialmente se sceglie di farlo in un modo così doloroso e carico di disprezzo per il proprio corpo, i cui poveri resti sparsi vengono poi raccolti dagli agenti polizia ferroviaria in uno di quei sacchetti verdi che a casa usiamo per la spazzatura, quelli che sul fondo hanno un laccetto staccabile da utilizzare per chiuderli.
Doveva essere un abitante di Portogruaro, perché ha scelto il regionale che porta da Trieste a Venezia proprio all'altezza di questo paesino veneto, che i locali chiamano affettuosamente "Porto".
Me lo immagino sui sessant'anni, il fisico non più prestante e un po' sovrappeso, i baffi grigi e la parlata calda e cantilenante di quelle terre.
Chissà se ha gridato qualcosa. Io lo avrei fatto, e probabilmente la decisione della frase finale avrebbe rappresentato un ulteriore motivo di rinvio sine die del gesto.
Sul treno involontariamente assassino, poi, i commenti grotteschi dei passeggeri sono risultati più fastidiosi del freddo che entrava dai finestrini aperti per guardare giù, dove il macchinista e il capotreno scrutavano sconvolti con le torce sotto i vagoni, per cercare i resti e per controllare che il mezzo funzionasse ancora. Il lavoro, da queste parti, è una cosa seria.
Quest'uomo nel morire ha voluto avverare le presunte profezie dei Maya: il mondo, per lui, non è andato oltre il 2012. Ha persino superato la curiosità che è di ogni essere umano di fronte a un ostacolo: quella di sapere cosa ci sia oltre. A lui no. Ciò che ha visto gli è bastato.
E ha deciso di farlo rovinando per sempre la vita al macchinista: un'ultima, brutta decisione che sarebbe dovuta piuttosto bastare a dissuaderlo: fra povera gente ci si aiuta, diamine!
Che brutto modo di finire l'anno.
Fare sempre la scelta giusta: questo può essere un buon proposito per l’anno che comincia. Almeno per noi che abbiamo deciso di rimanere vivi.
Venezia, 31 dicembre 2012
lunedì 31 dicembre 2012
venerdì 21 dicembre 2012
L'Italia si desta?


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sabato 15 dicembre 2012
lunedì 22 ottobre 2012
Guardare negli occhi
Forse per mancanza di coraggio, per codardia o per eccessiva debolezza, non ho mai guardato di mia spontanea volontà un filmato dove si vedano animali durante la macellazione. Non me la sono mai sentita. Sapevo, per immagini viste o per descrizioni di altri, cosa succede in quelle fabbriche di morte, ma non ho mai voluto guardare ciò che succede lì dentro con i miei occhi.
Ho sempre pensato che non avevo bisogno di guardarli, perché non dovevo essere sensibilizzata sull'argomento: ho deciso di diventare vegetariana e poi vegana tanti anni fa, senza aver mai visto nulla di questo, ma ben sapendo la verità.
E proprio io, che non ho mai avuto il coraggio di guardare, sono stata in un macello di suini e in uno di bovini. Ho visto e sentito tutto con i miei occhi e le mie orecchie, non seduta davanti ad uno schermo ma lì, in piedi davanti a decine di animali in fila pronti per essere condannati a finire nel piatto di qualcuno, in fila per essere uccisi da persone che lo fanno di lavoro, tutti i giorni.
Esseri viventi come noi, con le loro emozioni, i loro sentimenti. Lì in fila, impauriti e destinati ad essere mangiati da noi umani. Li ho visti e guardati negli occhi, ho visto e sentito la loro paura e il loro terrore, la loro incomprensione nel vedere il loro compagno stordito da una scossa elettrica o da un proiettile, in attesa che un coltello impugnato da un essere umano tagliasse loro la gola, ponendo fine alla loro schiavitù.
Sono studente di Medicina Veterinaria e per noi sono previste esercitazioni e tirocini pratici in tutti i campi della veterinaria, non solo quelli relativi alla cura dei nostri cosiddetti animali
d'affezione: tra questi c'è l'analisi e l'ispezione di alimenti di origine animale. Per questo ci hanno portato al macello: per assistere alle fasi di macellazione, dallo stordimento fino al completo
disassemblamento dell'animale e per insegnarci a fare una visita ispettiva su certi organi e parti degli animali macellati, in modo da escludere la presenza di eventuali patologie o trattamenti illeciti con
farmaci che possono danneggiare la salute del consumatore.
Inizialmente avevo deciso di non andarci, non avevo molta scelta ma preferivo "faticare" a passare questo esame piuttosto che assistere all'uccisione di animali innocenti. Poi mi sono fatta coraggio e ho deciso di andare e di vedere in prima persona cosa succede, per sapere e per poter diffondere quello che ho visto e sentito.
In questo macello vengono uccisi circa 120 animali all'ora... 700 al giorno e quasi 120.000 all'anno. Gli animali arrivano al macello trasportati su camion che penso prima o poi a tutti sia capitato di vedere in autostrada. Qui vengono fatti scendere e rimangono in attesa nelle "stalle di sosta", dove possono rimanere al massimo 24 ore. In queste stalle gli animali possono solo abbeverarsi, non mangiare, perché altrimenti il contenuto stomacale potrebbe creare poi problemi igienici in fase di macellazione.
Queste prigioni sono vicinissime al luogo di stordimento e uccisione, e gli animali possono sentire i rumori e i versi dei loro compagni che vengono uccisi. Li ho guardati negli occhi ed è stato terribile sapere che entro pochi minuti quegli animali che stavo vedendo lì vivi sarebbero stati letteralmente smontati per finire sullo scaffale di un supermercato.
Uno per uno i maiali o i bovini vengono spinti da un operatore, che spesso si aiuta con un bastone che emette scariche elettriche, in un corridoio che li porta su una pedana dove vengono poi bloccati tramite delle transenne. I maiali vengono storditi tramite elettronarcotizzazione, cioè viene loro inflitta una forte scarica elettrica in testa: l'animale, ancora vivo, cade a terra, vicino a quello che è appena stato ucciso prima di lui e gli vengono tagliati i grossi vasi del collo per permettere al sangue di uscire mentre ancora il cuore sta funzionando, cosicché l'animale muore per dissanguamento.Mentre questo succede, l'animale, benché stordito, si muove ed è in preda a convulsioni e quello a cui toccherà poi la stessa sorte lo può vedere e può percepire la sua agonia.
Dopo la morte, i maiali vengono immersi in una vasca di scottatura a 60 gradi, che serve per rimuovere le setole (ma non tutti arrivano lì già morti...). Successivamente, vengono appesi e viene passata una fiamma sui loro corpi per alcuni secondi in modo da togliere i residui di pelo.
Da qui in poi ho assistito ad una vera e propria catena di smontaggio dove alla fine dell'essere vivente che provava emozioni e sentimenti non è rimasto che una carcassa fredda e dura, pronta per essere lavorata e diventare prosciutto, mortadella, salsiccia, lardo e quant'altro.
I bovini invece vengono storditi mediante un colpo in mezzo alla fronte fatto con una pistola a proiettile captivo. Ho potuto vedere da vicino uno di loro, un vitello di circa 1 anno: aveva capito quello che gli stava per succedere e cercava in tutti i modi di evitare la pistola che gli avrebbe fatto un buco nel cervello.
Ma anche per lui non c'è stato niente da fare ed è caduto a terra in pochi istanti, sotto gli occhi del suo compagno in attesa e sotto i miei occhi impotenti. A questo punto è stato appeso per una zampa e l'ho guardato per l'ultima volta negli occhi ormai vitrei ma ancora vivi... e anche a lui è stata tagliata la gola.
Ho visto litri di sangue uscire e sgorgare a terra mentre lui finiva così la sua triste e breve vita. Anche lui, come tutti gli altri prima e dopo di lui, è stato scuoiato e fatto a pezzi. La sua pelle finirà nelle concerie, per fare le giacche, le scarpe o i divani in pelle che arredano le nostre case, la sua carne finirà nel piatto di qualcuno, a casa o al ristorante o a qualche grigliata tra amici.
Mentre la sua testa e gran parte delle sua interiora verranno buttati in quei cassonetti che sono fuori dallo stabilimento... tante teste ammassate una sull'altra, senza pelle, con gli occhi aperti e con quel foro nel cranio che li ha portati via dal mondo.
Io non voglio fare il veterinario per lavorare in un macello. Voglio essere un veterinario che cura gli animali per salvarli, per farli stare bene e per far avere loro una vita bella, sana e che sia la più lunga possibile.
Non voglio curare gli animali per far stare bene un allevatore e i dipendenti della sua azienda. Purtroppo tutto questo all'università e ai professori che ci insegnano il mestiere non interessa: il veterinario è anche e soprattutto questo e se vuoi far parte di questo mondo devi essere presente alle esercitazioni pratiche, come questa e come tante altre, e devi sostenere esami che ti insegnano le tecniche di allevamento e i metodi per macellare gli animali, indipendentemente dal perché tu voglia curare gli animali.
Va bene. Per riuscire a fare quello che si vuole nella vita bisogna sempre andare incontro a degli ostacoli, grossi o piccoli che siano. Questo per me è un grosso ostacolo, perché niente e nessuno potrà mai cancellare dalla mia memoria quello che ho visto e sentito oggi e in questi anni di studio.
Rimarranno sempre nel mio ricordo gli occhi dolci e impauriti di questi animali sfortunati, nati per servire e per soddisfare i gusti e la moda di una specie ignobile di cui mi vergogno di fare parte. Ma dal momento che ormai queste cose sono impresse in me in maniera indelebile, voglio farne buon uso, a favore degli animali che sono morti oggi, di quelli morti ieri e negli anni passati e di quelli che moriranno domani e negli anni futuri... sperando che un giorno tutto ciò non esista più.
Ho deciso di condividere con chi leggerà le mie sensazioni, le mie sofferenze. E ancora di più di trasmettere a voi quello che ho visto e sentito, nella speranza che anche solo uno di voi apra gli occhi e si renda consapevole di cosa succede ogni giorno nel mondo, con la convinzione che anche una piccola goccia di acqua che si muove in senso contrario possa trascinare con sé altre gocce in un fiume in piena, fino ad invertirne il corso.
Testimonianza da: http://www.agireora.org/info/news_dett.php?id=1328
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mercoledì 10 ottobre 2012
Il futuro del Pdl??
...ammazza che giovanotto dimostro dieci anni di meno...
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lunedì 8 ottobre 2012
venerdì 5 ottobre 2012
La libertà di parola
Nell'ultima riunione dell'ONU, come sempre, la delegazione degli Stati Uniti d'America e quella di Israele si sono alzate e hanno abbandonato l'aula non appena la parola è passata al presidente iraniano Ahmadinejad. Non so come la vedete voi, ma a me questa scelta non è piaciuta.
L'America, in particolare, vanta proprio l'amore per la libertà come propria caratteristica fondante: l'America è la terra in cui la libertà finisce soltanto dove inizia quella del prossimo, la terra costruita "da uomini liberi che vogliono restare liberi!".
Allora mi domando: un uomo libero può avere mai paura delle parole?
Ad oggi Ahmadinejad è il rappresentante di un regime i cui fondamenti si possono non condividere, ma non si è macchiato di alcun crimine contro l'umanità che giustifichi la scelta di non ascoltare neppure le sue parole. Se la libertà di parola è un valore su cui si fonda uno stato, questo valore va difeso sempre e ovunque e non soltanto quando fa comodo. Io non sono d'accordo con Voltaire quando sosteneva che avrebbe dato la vita per permettere a chiunque di parlare, anche senza condividerne il pensiero. Ma gli Stati Uniti d'America fondano la propria "libertà" su questo principio illuminista, e non possono rimangiarselo a piacimento.
Specialmente per il fatto che il discorso di Ahmadinejad non è violento o offensivo. Può essere ridondante e retorico, a tratti ridicolo e a tratti condivisibile, ma merita di essere ascoltato.
Quindi, siccome i giornali hanno per intero omesso di raccontarci cosa pensa chi sta a capo dell'antica Persia, me lo sono andato a cercare altrove.
Perché si può credere in ciò che si vuole, ma non è mai lecito avere paura di conoscere.
L'America, in particolare, vanta proprio l'amore per la libertà come propria caratteristica fondante: l'America è la terra in cui la libertà finisce soltanto dove inizia quella del prossimo, la terra costruita "da uomini liberi che vogliono restare liberi!".
Allora mi domando: un uomo libero può avere mai paura delle parole?
Ad oggi Ahmadinejad è il rappresentante di un regime i cui fondamenti si possono non condividere, ma non si è macchiato di alcun crimine contro l'umanità che giustifichi la scelta di non ascoltare neppure le sue parole. Se la libertà di parola è un valore su cui si fonda uno stato, questo valore va difeso sempre e ovunque e non soltanto quando fa comodo. Io non sono d'accordo con Voltaire quando sosteneva che avrebbe dato la vita per permettere a chiunque di parlare, anche senza condividerne il pensiero. Ma gli Stati Uniti d'America fondano la propria "libertà" su questo principio illuminista, e non possono rimangiarselo a piacimento.
Specialmente per il fatto che il discorso di Ahmadinejad non è violento o offensivo. Può essere ridondante e retorico, a tratti ridicolo e a tratti condivisibile, ma merita di essere ascoltato.
Quindi, siccome i giornali hanno per intero omesso di raccontarci cosa pensa chi sta a capo dell'antica Persia, me lo sono andato a cercare altrove.
Perché si può credere in ciò che si vuole, ma non è mai lecito avere paura di conoscere.
La terra d’Iran
“Io vengo dall’Iran, dalla terra della bellezza e dell’imponenza, dalla terra della scienza e della cultura, la terra della saggezza e delle virtù, dalla culla della filosofia e dello gnosticismo, dalla patria del sole e della luce, la terra degli scienziati, dei saggi, dei filosofi, degli gnostici, dei letterati, la terra di Avicenna, Ferdowsi, Rumi, Hafez, Attar, Khayyam e Shahriar; sono quì in veste di rappresentante di un popolo grande e dignitoso, tra i fondatori della cultura umana e tra gli eredi di essa; sono il rappresentante di gente saggia, innamorata della libertà e della pace, affettuosa, che ha assaggiato il sapore amaro delle guerre e delle aggressioni e che ama la pace e la serenità.
Il messaggio dell’Iran
Oggi sono quì con voi fratelli e sorelle provenienti da tutto il mondo per parlare per l’ottava volta in otto anni di servizio al popolo del mio paese, e dimostrare al mondo intero che il dignitoso popolo dell’Iran, proprio come il suo passato splendente, ha ancora oggi un pensiero rivolto a tutto il mondo e non rinuncierà a qualsiasi sforzo per lo sviluppo ed il rafforzamento della pace, della sicurezza e della stabilità nel mondo; e l’Iran sa che questo non sarà possibile se non con la cooperazione e l’aiuto degli altri.
Sono quì per riferire a voi rispettabili presenti il messaggio divino degli uomini e delle donne del mio paese. Un messaggio che il maestro dell’orazione della terra d’Iran, Saadi di Shiraz, ha reso immortale in questi due versi:
I figli di Adamo sono uno parte dell’altro, dato che sono creati da un unico gioiello
quando la vita reca male ad una di queste parti, le altre parti perdono la propria quiete
Nei sette anni precedenti ho parlato delle sfide e delle soluzioni e dell’orizzonte dinanzi al mondo ed oggi voglio osservare questo argomento da un’altra angolatura. Passano migliaia di anni dalla diffusione sulla terra dei figli di Adamo, figli che con colori, gusti, lingue e tradizioni differenti hanno tutti sognato la costruzione di una società piena di amore, per raggiungere una vita più bella e stabilire il benessere, la pace e la sicurezza.
Come sarebbe il mondo se…
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mercoledì 3 ottobre 2012
Shit party
A colpirmi non è tanto l'assurdità di una festa che ha come tema lo
sterco umano. Questo rientra a pieno titolo nella volgarità del moderno, nel suo totale rifiuto del concetto stesso di eleganza,
nella relativizzazione ideologica dell'idea di bellezza: una colpa
estetica, prima che etica.
A colpirmi non è il cattivo gusto di Veronica Cappellaro, che in un momento simile non trova niente di meglio da fare che farsi fotografare a una festa così piena di bella gente capitanata da Cicciolina.
A colpirmi davvero è che la Cappellaro fosse Presidente della Commissione Cultura: questo sì mi toglie il sonno.
Non voglio unirmi alle offese che nei suoi confronti impazzano su internet: io la Cappellaro non la conosco e non ho motivo di offenderla. Ma mi sembra fin troppo evidente che non è una persona adatta a presiedere la Commissione che si occupa di cultura nella Regione che ospita la Capitale. Sarà una brava amministratrice, non lo so, ma non è la persona che diresti si occupi di cultura.
Basta sentirla parlare: ha un linguaggio semplice, con un marcatissimo accento di Roma Nord non esente da forme di turpiloquio:
In un altro video impietoso la si vede rispondere alle domande di un intervistatore leggendo un freddissimo comunicato scritto (tra l'altro male) da qualche tecnico di segreteria con un linguaggio da avvocato civilista:
La cosa più grave di questo video non è che legga le risposte, ma che non le sappia leggere meglio di un ragazzino di 11 anni.
Insomma al di là di qualunque giudizio morale, mi pare evidente che il livello culturale della nostra Veronica non sia quello richiesto dal suo ruolo.
La colpa è di chi l'ha messa lì: forse la Polverini, che nel novero delle qualità (?) non conta certo l'eleganza; o più probabilmente il Partito.
Il Partito, in democrazia, ha ragione di esistere solo nella misura in cui fa da selettore e da formatore della classe dirigente, grazie alla scuola politica e all'intuitus personae che passa attraverso la militanza. Senza questo ruolo i partiti sarebbero soltanto obsolete barriere al naturale confronto democratico, pachidermi ingombranti quando non sacche di infezione e di privilegio.
Eppure come la Minetti, anche la Cappellaro è stata scelta evidentemente per parametri che non ci è dato conoscere ma che prescindono dalle normali procedure di selezione della classe dirigente.
I politici non devono essere persone migliori della cosiddetta società civile, ma sicuramente ne devono rappresentare la parte più preparata, più seria, più limpida. Perché hanno scelto di votarsi al prossimo, alla collettività, e di decidere.
E decidere è una cosa seria: quando a farlo si trova qualcuno privo della minima preparazione, l'anti-politica è la reazione più innocua che ci possiamo aspettare.
A colpirmi non è il cattivo gusto di Veronica Cappellaro, che in un momento simile non trova niente di meglio da fare che farsi fotografare a una festa così piena di bella gente capitanata da Cicciolina.
A colpirmi davvero è che la Cappellaro fosse Presidente della Commissione Cultura: questo sì mi toglie il sonno.
Non voglio unirmi alle offese che nei suoi confronti impazzano su internet: io la Cappellaro non la conosco e non ho motivo di offenderla. Ma mi sembra fin troppo evidente che non è una persona adatta a presiedere la Commissione che si occupa di cultura nella Regione che ospita la Capitale. Sarà una brava amministratrice, non lo so, ma non è la persona che diresti si occupi di cultura.
Basta sentirla parlare: ha un linguaggio semplice, con un marcatissimo accento di Roma Nord non esente da forme di turpiloquio:
In un altro video impietoso la si vede rispondere alle domande di un intervistatore leggendo un freddissimo comunicato scritto (tra l'altro male) da qualche tecnico di segreteria con un linguaggio da avvocato civilista:
La cosa più grave di questo video non è che legga le risposte, ma che non le sappia leggere meglio di un ragazzino di 11 anni.
Insomma al di là di qualunque giudizio morale, mi pare evidente che il livello culturale della nostra Veronica non sia quello richiesto dal suo ruolo.
La colpa è di chi l'ha messa lì: forse la Polverini, che nel novero delle qualità (?) non conta certo l'eleganza; o più probabilmente il Partito.
Il Partito, in democrazia, ha ragione di esistere solo nella misura in cui fa da selettore e da formatore della classe dirigente, grazie alla scuola politica e all'intuitus personae che passa attraverso la militanza. Senza questo ruolo i partiti sarebbero soltanto obsolete barriere al naturale confronto democratico, pachidermi ingombranti quando non sacche di infezione e di privilegio.
Eppure come la Minetti, anche la Cappellaro è stata scelta evidentemente per parametri che non ci è dato conoscere ma che prescindono dalle normali procedure di selezione della classe dirigente.
I politici non devono essere persone migliori della cosiddetta società civile, ma sicuramente ne devono rappresentare la parte più preparata, più seria, più limpida. Perché hanno scelto di votarsi al prossimo, alla collettività, e di decidere.
E decidere è una cosa seria: quando a farlo si trova qualcuno privo della minima preparazione, l'anti-politica è la reazione più innocua che ci possiamo aspettare.
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Veronica Cappellaro
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martedì 25 settembre 2012
La chiamano macchina del fango, ma non può nulla contro l'onestà.
La chiamano "macchina del fango" ma in verità è lo stato in cui si è ridotto il giornalismo moderno, (ig)nobile professione oramai screditata di qualsiasi credibilità, prima di qualunque deontologia. In questa triste democrazia dei consumi l'attività principale del giornalista è infatti una soltanto: individuare la notizia che fa scalpore, che fa così alzare il numero dei clic sul proprio portale e di conseguenza le vendite pubblicitarie. Poco anzi nulla importa che questa notizia sia vera, o che sia interessante, o tantomeno che sia raccontata in maniera onesta.
Facciamo un esempio. Mentre scrivo, gli accessi al mio blog dell'ultimo mese sono esattamente 1710. Se io guadagnassi soldi per un'eventuale pubblicità sul mio blog, chi mi paga per lo spazio mi chiederebbe di avere il conto preciso degli accessi al sito, in maniera da valutare quanto "vale" la pubblicità sul mio sito, e quindi quanto pagarla. Più lettori, più soldi. Questo comporta che - se lo scopo del mio blog fosse guadagnare - io sarei portato a scrivere qualunque cosa produca una crescita del numero dei miei lettori.
In questo caso avrei due strade: o mettermi a raccontare i dettagli di come nonno Michele o sua moglie avrebbero ucciso la povera nipotina in quel di Avetrana, indugiando sui dettagli macabri e scabrosi, sui rapporti famigliari, sul profilo psicologico della vittima e del carnefice, e decuplicando così gli accessi grazie al voyeurismo morboso dei lettori; oppure, più semplice, potrei rovinare la reputazione di qualcuno, possibilmente insospettabile.
In questo caso il gioco è fin troppo semplice: basta trovare una persona che ha di recente assunto un incarico che la espone a visibilità, spulciare su internet tutto ciò che si trova di lei (foto della cena di maturità, pensieri scritti su un blog ai tempi del liceo, racconti che la riguardano) e come primo atto pubblicare tutto, violando i suoi spazi. Si badi bene che questa è un'operazione assolutamente inutile ai fini dell'informazione, ma fondamentale per destabilizzare l'oggetto della mia attenzione: entrando nel suo spazio privato gli tolgo serenità, lo innervosisco e così è più probabile che cada in errore. Il secondo passo, poi, è quello più divertente: si tratta di trovare una foto "compromettente", o una notiziuola scabrosa, o una dichiarazione interpretabile, o una frase non perfettamente corretta e manipolarla ad arte per gettare discredito sulla mia vittima. Una volta fatto questo sono sicuro di poter contare sui soldati della diffamazione: messa in rete la notizia (vera o falsa che sia) sono certo che in poche ore sarà presa come oro colato e ritwittata da centinaja di persone ovunque, con la ciliegina dei commenti personali, possibilmente grossolani. Ed è così che posso facilmente trasformare chiunque di voi in un ladro, un nazista, o una prostituta.
Si badi bene, in questo caso la veridicità dell'informazione è assolutamente secondaria: ciò che conta è - come abbiamo visto - che mi aiuti a conseguire il risultato sperato, e cioé l'aumento degli introiti pubblicitari dovuti al traffico sul mio sito.
Nel recente caso di Chiara Colosimo abbiamo visto alla perfezione come funziona questa che sembra una vera e propria "macchina" nella quale ogni pezzo svolge la propria funzione per giungere all'obiettivo di rovinare una persona.
Non appena eletta capogruppo del PdL in Regione Lazio, Chiara Colosimo si è trovata tutte le fotografie che aveva su facebook sparate sul sito di Repubblica, in barba all'interesse che esse potevano suscitare nel lettore e soprattutto in barba alla riservatezza che avrebbero meritato. Per farvi capire, tra le foto è stata pubblicata anche l'immagine del sottoscritto con lei, senza che ci si peritasse in alcun modo di verificare chi io fossi, e che interesse potesse avere per la gente quell'immagine. Ecco il servizio.
Ma tant'è, è il primo passo per la diffamazione, come abbiamo detto.
Il secondo è arrivato dopo poche ore dalla nomina: ecco che spunta dal nulla un'intervista fatta da Mtv a Chiara quando era segretario giovanile della sezione della Giovane Italia Garbatella. In questa chiacchierata Chiara parla di fronte a un muro sul quale è rappresentato Corneliu Zelea Codreanu, il fondatore della "Guardia di Ferro", movimento politico rumeno di ispirazione fascista. La macchina è partita: la notizia viene rimbalzata e ampliata e se la Polverini non si fosse dimessa potete stare certi che Codreanu si sarebbe trasformato in breve in Adolf Hitler.
Ma non basta: nell'intervista l'ingenua Chiara ebbe la cattiva idea di raccontare come, prima di fare politica, il sabato pomeriggio si recasse a ballare al Gilda con le amiche. Calcolando che io Chiara fa politica da quando aveva 16 anni, e che da allora ha smesso i tacchi per infilare le scarpe da ginnastica e la felpa e andare ad attaccare manifesti, nel suo racconto parlava di quando a 15 anni che amava andare in discoteca di pomeriggio, fatto che solo i Boka Haram considerebbero degno di nota. Ma la macchina è inarrestabile: la rete si riempie di messaggi contro la "fascio-cubista", e in poche ore Chiaretta è trasformata in una sorta di Cicciolina de' noantri..
Ciò che di questa storia mi ha sconvolto è stato notare come tutto ciò nasca dalla malafede. Chi ha pubblicato la foto con l'immagine di Codreanu non si è neppure peritato di studiare la storia della Guardia di Ferro: addirittura "Pubblico", il nuovo giornale di Luca Telese, rinvia i propri lettori ad approfondire su wikipedia! Sono queste le fonti con cui si costruiscono le accuse!
Ancora più disgustoso è stato il modo in cui si è voluta sporcare la frase innocente sui pomeriggi in discoteca: era troppo ghiotta l'occasione di trovare una "Minetti" romana, dimostrando che nel PdL le donne sono tutte bonazze allegrone e sciocche, giunte al potere a furia di comportamenti su cui il lettore, a questo punto, starà già fantasticando da un bel pezzo.
Ed è così che tale Marta Arniani di Liquida Magazine è arrivata a titolare "Chiara Colosimo, il nuovo volto pdl tra lapdance e neonazi" dimostrando come la verità non conti davvero nulla per un giornalista in cerca di visibilità. Fossi nella Colosimo ragionerei di sporgere querela contro questa vergognosa pennivendola da quattro soldi.
Chiara è una persona diversa. Oltre a non avere il fisico della Minetti (mi scuserà, ma le foto della recente sfilata della consigliera milanese rendono impietoso il confronto) è una persona pulita e onesta, che tira di boxe, veste in felpa e fuma il sigaro.
Con tutto l'impegno che ci può mettere, non basterà una Marta Arniani qualsiasi a farne qualcosa di differente.
Facciamo un esempio. Mentre scrivo, gli accessi al mio blog dell'ultimo mese sono esattamente 1710. Se io guadagnassi soldi per un'eventuale pubblicità sul mio blog, chi mi paga per lo spazio mi chiederebbe di avere il conto preciso degli accessi al sito, in maniera da valutare quanto "vale" la pubblicità sul mio sito, e quindi quanto pagarla. Più lettori, più soldi. Questo comporta che - se lo scopo del mio blog fosse guadagnare - io sarei portato a scrivere qualunque cosa produca una crescita del numero dei miei lettori.
In questo caso avrei due strade: o mettermi a raccontare i dettagli di come nonno Michele o sua moglie avrebbero ucciso la povera nipotina in quel di Avetrana, indugiando sui dettagli macabri e scabrosi, sui rapporti famigliari, sul profilo psicologico della vittima e del carnefice, e decuplicando così gli accessi grazie al voyeurismo morboso dei lettori; oppure, più semplice, potrei rovinare la reputazione di qualcuno, possibilmente insospettabile.
In questo caso il gioco è fin troppo semplice: basta trovare una persona che ha di recente assunto un incarico che la espone a visibilità, spulciare su internet tutto ciò che si trova di lei (foto della cena di maturità, pensieri scritti su un blog ai tempi del liceo, racconti che la riguardano) e come primo atto pubblicare tutto, violando i suoi spazi. Si badi bene che questa è un'operazione assolutamente inutile ai fini dell'informazione, ma fondamentale per destabilizzare l'oggetto della mia attenzione: entrando nel suo spazio privato gli tolgo serenità, lo innervosisco e così è più probabile che cada in errore. Il secondo passo, poi, è quello più divertente: si tratta di trovare una foto "compromettente", o una notiziuola scabrosa, o una dichiarazione interpretabile, o una frase non perfettamente corretta e manipolarla ad arte per gettare discredito sulla mia vittima. Una volta fatto questo sono sicuro di poter contare sui soldati della diffamazione: messa in rete la notizia (vera o falsa che sia) sono certo che in poche ore sarà presa come oro colato e ritwittata da centinaja di persone ovunque, con la ciliegina dei commenti personali, possibilmente grossolani. Ed è così che posso facilmente trasformare chiunque di voi in un ladro, un nazista, o una prostituta.
Si badi bene, in questo caso la veridicità dell'informazione è assolutamente secondaria: ciò che conta è - come abbiamo visto - che mi aiuti a conseguire il risultato sperato, e cioé l'aumento degli introiti pubblicitari dovuti al traffico sul mio sito.
Nel recente caso di Chiara Colosimo abbiamo visto alla perfezione come funziona questa che sembra una vera e propria "macchina" nella quale ogni pezzo svolge la propria funzione per giungere all'obiettivo di rovinare una persona.
Non appena eletta capogruppo del PdL in Regione Lazio, Chiara Colosimo si è trovata tutte le fotografie che aveva su facebook sparate sul sito di Repubblica, in barba all'interesse che esse potevano suscitare nel lettore e soprattutto in barba alla riservatezza che avrebbero meritato. Per farvi capire, tra le foto è stata pubblicata anche l'immagine del sottoscritto con lei, senza che ci si peritasse in alcun modo di verificare chi io fossi, e che interesse potesse avere per la gente quell'immagine. Ecco il servizio.
Ma tant'è, è il primo passo per la diffamazione, come abbiamo detto.
Il secondo è arrivato dopo poche ore dalla nomina: ecco che spunta dal nulla un'intervista fatta da Mtv a Chiara quando era segretario giovanile della sezione della Giovane Italia Garbatella. In questa chiacchierata Chiara parla di fronte a un muro sul quale è rappresentato Corneliu Zelea Codreanu, il fondatore della "Guardia di Ferro", movimento politico rumeno di ispirazione fascista. La macchina è partita: la notizia viene rimbalzata e ampliata e se la Polverini non si fosse dimessa potete stare certi che Codreanu si sarebbe trasformato in breve in Adolf Hitler.
Ma non basta: nell'intervista l'ingenua Chiara ebbe la cattiva idea di raccontare come, prima di fare politica, il sabato pomeriggio si recasse a ballare al Gilda con le amiche. Calcolando che io Chiara fa politica da quando aveva 16 anni, e che da allora ha smesso i tacchi per infilare le scarpe da ginnastica e la felpa e andare ad attaccare manifesti, nel suo racconto parlava di quando a 15 anni che amava andare in discoteca di pomeriggio, fatto che solo i Boka Haram considerebbero degno di nota. Ma la macchina è inarrestabile: la rete si riempie di messaggi contro la "fascio-cubista", e in poche ore Chiaretta è trasformata in una sorta di Cicciolina de' noantri..
Ciò che di questa storia mi ha sconvolto è stato notare come tutto ciò nasca dalla malafede. Chi ha pubblicato la foto con l'immagine di Codreanu non si è neppure peritato di studiare la storia della Guardia di Ferro: addirittura "Pubblico", il nuovo giornale di Luca Telese, rinvia i propri lettori ad approfondire su wikipedia! Sono queste le fonti con cui si costruiscono le accuse!
Ancora più disgustoso è stato il modo in cui si è voluta sporcare la frase innocente sui pomeriggi in discoteca: era troppo ghiotta l'occasione di trovare una "Minetti" romana, dimostrando che nel PdL le donne sono tutte bonazze allegrone e sciocche, giunte al potere a furia di comportamenti su cui il lettore, a questo punto, starà già fantasticando da un bel pezzo.
Ed è così che tale Marta Arniani di Liquida Magazine è arrivata a titolare "Chiara Colosimo, il nuovo volto pdl tra lapdance e neonazi" dimostrando come la verità non conti davvero nulla per un giornalista in cerca di visibilità. Fossi nella Colosimo ragionerei di sporgere querela contro questa vergognosa pennivendola da quattro soldi.
Chiara è una persona diversa. Oltre a non avere il fisico della Minetti (mi scuserà, ma le foto della recente sfilata della consigliera milanese rendono impietoso il confronto) è una persona pulita e onesta, che tira di boxe, veste in felpa e fuma il sigaro.
Con tutto l'impegno che ci può mettere, non basterà una Marta Arniani qualsiasi a farne qualcosa di differente.
venerdì 21 settembre 2012
Chiara Colosimo è capogruppo!
La vera lotta non è tra PdL o PD, o tra destra e sinistra: la vera lotta è tra ladri e persone oneste, tra chi usa la politica per sé e chi ad essa si dona, per il prossimo.
Pur nella putredine, gli scandali aiutano a ripulire le stanze del potere dai disonesti, e a lasciare spazio a chi crede. E Chiara Colosimo è una persona onesta, e crede eccome: oggi è capogruppo del PdL in Regione Lazio!
Nel momento di massima difficoltà il partito così pieno di scandali, di inquisiti, di condannati è costretto ad affidarsi ai volti puliti, alle persone oneste, a chi crede ancora.
Come Frodo, a lei il compito di allontanare la mano di Sauron dalla Terra di Mezzo, senza cedere alla tentazione di indossare mai l'anello del potere che corrompe, logora, uccide.
A noi il compito di starle vicino ciascuno con le proprie armi, di proteggerla e di essere pronti a lasciare tutto e correre in suo aiuto, non appena dovessimo sentire il richiamo del corno di Boromir.
Pur nella putredine, gli scandali aiutano a ripulire le stanze del potere dai disonesti, e a lasciare spazio a chi crede. E Chiara Colosimo è una persona onesta, e crede eccome: oggi è capogruppo del PdL in Regione Lazio!
Nel momento di massima difficoltà il partito così pieno di scandali, di inquisiti, di condannati è costretto ad affidarsi ai volti puliti, alle persone oneste, a chi crede ancora.
Come Frodo, a lei il compito di allontanare la mano di Sauron dalla Terra di Mezzo, senza cedere alla tentazione di indossare mai l'anello del potere che corrompe, logora, uccide.
A noi il compito di starle vicino ciascuno con le proprie armi, di proteggerla e di essere pronti a lasciare tutto e correre in suo aiuto, non appena dovessimo sentire il richiamo del corno di Boromir.
Argomenti:
Chiara Colosimo,
Lazio,
PDL
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mercoledì 19 settembre 2012
...è la Giovane Italia "che guarda lontano"?

Una classe politica vecchia, stanca e incapace di rendersi conto del clima di odio di cui è oggetto (con un certo margine di ragione) non riuscirà mai a farsi da parte da sola, e il rischio è che se anche lo facesse, il parametro anagrafico trascinerebbe via tante persone che giovani non sono, ma che anche per via dell'esperienza restano validi elementi per poter guidare l'Italia.
In sostanza, non si tratta di "svecchiare" i partiti, ma di "pulirli". E per farlo non vedo altri strumenti che le primarie: permettere al popolo di dire una volta per tutte ciò che pensa dei vari Napoleon, Benjamin, Minimus, Jones, Pilkington e Frederick e di mandarli a casa, in galera, o dovunque meritino di stare.
Ma le primarie non bastano. Per quanto necessarie per uscire dalla fase limacciosa, non potranno certo risultare lo strumento di selezione della classe dirigente in un futuro partito "normale".
Il perché è presto detto: neanche in democrazia può essere soltanto il numero dei voti e il consenso degli elettori (anzi, dei tesserati) a individuare il politico in grado di guidare il paese: servono elaborazione politica, preparazione culturale, e spirito di sacrificio. La classe dirigente di domani avrà bisogno di uomini culturalmente adeguati, in grado di valutare e ponderare le importanti scelte che riguardano il nostro futuro (di tutti). A questo servono, in un sistema democratico, i partiti: a formare e selezionare le persone più adatte alla guida del paese, e a fare scuola politica per permettere a costoro di essere preparati ad assumere le responsabilità massime.
Il prof. Fabrizio Tonello, nel suo ultimissimo "L'età dell'ignoranza" (edito da Mondadori), spiega in maniera illuminante come non sia possibile alcuna democrazia senza cultura, perché il diritto di voto va esercitato con la consapevolezza di ciò che si sta facendo, e la cultura è lo strumento attraverso il quale ciascuno di noi impara a distinguere il Bene della res publica dal proprio apparente bene egoistico, magari veicolato attraverso parole suadenti e ben disposte e programmi televisivi adeguatamente orientati.
Sia a livello di partito che a livello di governo, ora più che mai abbiamo bisogno di una classe dirigente, in grado quindi di "dirigere", guidare, capire.
Quello che serve non è una nuova tangentopoli, ma una rivoluzione culturale.
Ed è anche per questo che non basterà eliminare i mille Fiorito che si nascondono nei partiti, né con la magistratura, né con le primarie, né con le preferenze. Oltre ad essi è fondamentale e irrinunciabile eliminare tutti coloro che fanno la fila per diventare come Fiorito, per entrare nella "casta" che ahimè esiste eccome, composta non tanto di privilegi quanto di quella sensazione di impunità, di onnipotenza, quel voler essere guardati, invidiati, desiderati, adorati.
Non è un fatto anagrafico, neanche un po'. Oltre ai cinquantenni come Fiorito ci sono i ventenni la cui carriera credono dipenda dall'intonazione con cui cantano "Meno male che Silvio c'è", quelli che si offendono a morte se ad Atreju prendi in giro "il Presidente" (neanche fosse il Papa), quelli che fingono di emozionarsi a sentirlo parlare o che fingono di ridere quando racconta barzellette, quelli che si precipitano a salutarlo dopo i convegni nella speranza di diventare un giorno non come lui, ma come Fiorito, come Lusi, qualcuno a cui la vita non dovrà mai negare niente, a cui tutto sarà sempre permesso.
Costoro sporcano la Politica, la rendono immonda, violentano questa nobile attività, fatta di sacrificio di sé per il Bene del prossimo. Costoro abbattono i sogni dei ragazzi nelle sezioni, dei militanti, di chi si priva del sonno per un volantinaggio, per attaccare manifesti, per occupare la propria scuola, di chi dedica la propria gioventù al servizio di un ideale.
Per loro, per i sogni dei nostri ragazzi dobbiamo restare dove siamo, continuare a fare politica con la purezza da militanti, tapparci il naso per non sentire il fetore e annacquare con un po' di acqua pura la valanga di fango che rotola oramai ovunque, e che sembra inarrestabile.
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PDL
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Montino e i doni natalizi ai bimbi alcolizzati

Del vergognoso malaffare che ha investito le Regioni del nord, del centro e del sud, da destra a sinistra, una frase passerà alla storia, anzi alla mitologia. E’ la fantastica giustificazione del capogruppo del Partito Democratico alla Regione lazio, Esterino Montino, a una spesa con soldi pubblici di 4.500 euro in un’enoteca. Testuale: “A Natale abbiamo fatto regali ai bambini senza reddito, un atto di solidarietà”.
A leggerla così c’è da restare attoniti e commossi perché sintetizza in modo mirabile l’abisso che c’è tra la realtà e la rappresentazione, tra la politica e la verità. Gustatela nel dettaglio: pensate, in enoteca i politic comprano – con i soldi nostri – regali di Natale per i bambini. Sarebbe bello e raccapricciante conoscere questi bambini alcolisti, queste creature mostruose e avvinazzate che al posto dei giocattoli a Natale ricevono vini di marca.
Si tratta, ci viene precisato, di “bambini senza reddito”: ci sono forse bambini con reddito, affermati professionisti a sette anni o bambini commercianti con partita Iva a otto anni? Il dono è incartato ideologicamente nella solidarietà… Ahò, semo de sinistra, mica famo come a quell’artri che rubbeno pe’ fasse er viaggio colla pischella bbona… Prendete quella frase puerile a sé stante, a prescindere da quel che poi riuscirà a dimostrare l’interessato: è l’epitaffio di questi anni e il necrologio di un ceto politico che ha perso il senso della realtà e dell’umano. Sembra il ritratto di una Madonna del Trecento: l’Esterino Montino con Bambino, per amor di vino.
Marcello Veneziani
(Il Giornale)
mercoledì 12 settembre 2012
Atreju #senzapaura ?
Che poi non è vero, di paura ne abbiamo eccome: solo gli stupidi non hanno paura.
La differenza è che la nostra generazione soffoca la paura con una speranza incosciente, forse ridicola, che rappresenta l'unico sentimento nobile in questa brutta epoca fatta di banche e banconote, di vecchi privilegi e di nuove ingiustizie, di pensionati a 50 anni e di precari alla stessa età.
La politica è la soluzione, è l'unica soluzione che conosciamo. Quella politica un po' ingenua un po' folle, di chi con attrezzi logori si piega a ricostruire i propri sogni infranti, con sempre lo stesso entusiasmo della prima volta e la capacità di non lasciar morire l'illusione.
La politica è la più alta forma di carità, diceva Paolo VI.
Giovani, fate la carità. Fate politica.
La differenza è che la nostra generazione soffoca la paura con una speranza incosciente, forse ridicola, che rappresenta l'unico sentimento nobile in questa brutta epoca fatta di banche e banconote, di vecchi privilegi e di nuove ingiustizie, di pensionati a 50 anni e di precari alla stessa età.
La politica è la soluzione, è l'unica soluzione che conosciamo. Quella politica un po' ingenua un po' folle, di chi con attrezzi logori si piega a ricostruire i propri sogni infranti, con sempre lo stesso entusiasmo della prima volta e la capacità di non lasciar morire l'illusione.
La politica è la più alta forma di carità, diceva Paolo VI.
Giovani, fate la carità. Fate politica.
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atreju,
Giovane Italia
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lunedì 10 settembre 2012
via andando
Giri la testa guardando il passatoil tempo che passa ti ruba i pensieriuomo infelice ti senti schiacciatoe hai nostalgia di ciò che eri ierierrare ti stanca, la strada è nemicaattraverso la nebbia della corruzionetu cerchi soltanto una luce che guidaper dare un verso alla tua ribellione.Passare all'azione ti serve, lo saiil futuro ci attende oltre l'auroranon essere passivo, te ne pentiraiavrai la speranza di batterti ancora.Il deserto che avanza verso il pensieroti rende nemico di chi ti è accantonon abbatterti, ma esserne fierolibera l'anima: il sole è vicino!
©Aurora - "Il viandante"
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mercoledì 5 settembre 2012
Italcementi addio. Ormai morto l’albero genealogico dell’industria in Calabria
Che cosa accade quando si fermano le macchine e i lavoratori muoiono senza neanche un funerale? Si spezza la catena della produzione, si sfibra il tessuto della coesione sociale, si frantumano gli anelli che legano gli uomini e le donne, le famiglie e i gruppi nella vita di comunità. Neanche il tempo di una rielaborazione corale del lutto che c’è già chi pensa a fare dell’antico sito industriale un altro piccolo paradiso dei propri affari più o meno mascherato di turismo da diporto. Cose così stanno succedendo anche a Vibo dove la spaventosa incapacità e impreparazione della politica regionale ha fatto delocalizzare un gruppo strategico dell'economia nazionale, Italcementi, primo produttore di materiali da costruzione con una quota di mercato di circa il 30% e con un dispositivo industriale in costante adeguamento e prodotti sempre più innovativi per la clientela, oltre 5.000 dipendenti. Senza negoziati nè contrattazione, la chiocciola dell'Italcementi, logo dell'impresa multinazionale, si ritira nel suo guscio bergamasco e lascia per sempre la scia del rimorso in terra di Calabria. Chiude la fabbrica vibonese e nella provincia tirrenica si avverte tutta la nostalgia di un mondo perduto, disperazione per cento famiglie di lavoratori ricacciati nella riserva indiana del non lavoro, nella spirale viscida dell'incertezza e della mobilità, nella zona d'ombra del precariato e della cassa integrazione. Una decisione, questa dell'azienda di proprietà di una delle famiglie più importanti del capitalismo italiano, con sede a Bergamo, la holding internazionale del cavalier Giampiero Pesenti, che impoverisce e destruttura definitivamente il già debole tessuto industriale della regione. Amarezza per una chiusura che non è stata un fulmine a ciel sereno. Che, forse, non sarebbe neanche il solo frutto di un quadro congiunturale negativo per il settore, in questi ultimi anni profondamente cambiato a causa della forte flessione del comparto delle costruzioni. Crisi della filiera del cemento italiano e del calcestruzzo pagata sopratutto al sud, specialmente dalla Calabria, solamente dagli ‘operai invisibili’ di Vibo Valentia. Una chiusura che secondo i lavoratori non avrebbe dalla propria parte solide ragioni. La fabbrica è rimasta in marcia fino a pochi mesi fa praticamente a ciclo continuo, producendo e vendendo dai 23 ai 24 mila quintali di cemento al giorno. Tanto che molti si chiedono quali siano gli scenari che si intravedono oltre la cortina di questa rapidissima dismissione dello stabilimento, di quale crisi si parli e se qui, come al solito, alla fine non si sveli che c'è dell'altro. Da qui la stura alle più svariate ipotesi su possibili interessi, megaprogetti, starni movimenti che sfuggono alla cronaca. Per quel si sa ciò che emerge con netta chiarezza è che di fronte alla chiusura dell'ultima fabbrica del Novecento localizzata in territorio regionale, ancora una volta la politica calabrese (e in questo caso quella della Regione Calabria e del suo vicepresidente Antonella Stasi) è fallita e ha fatto cilecca. Tra disattenzione, tavoli romani, impreparazione, promesse e chiacchiere, ciò che è mancato, non è stata solo un’intelligente gestione della vertenza, quanto l'assoluta assenza di azioni e scelte lungimiranti per evitare la delocalizzazione di un impresa strategica per l'economia italiana a livello mondiale. Perché un conto è potare i rami un’altro invece è recidere il ceppo, l’albero genealogico del sistema industriale calabrese . Ancora una volta una pagina nera per il lavoro regionale, una sconfitta pesante che fa male. Sgomenti e rassegnati, giorno per giorno, prendiamo atto che ormai manca una classe dirigente politica, attiva, consapevole, motivata nel difendere con passione diritti e speranze dei nostri territori. VITO BARRESI da www.zoomsud.it
martedì 4 settembre 2012
...che ce voi fà si er core nostro ce l'avemo qua...
Famo finta che 'n c'è gnente,
che 'n ce passa pe la mente
tutto quello che ce sta,
stamo bene in compagnia
i bicchieri in allegria
basta che se pò svoltà.
Nun pensamo a li mijoni
tanto 'sti gargarozzoni nun te li fanno vedè
nun ce importa più de gnente
né de questa e quella ggente
basta che se pò svortà.
Che ce voi fà si er mondo nostro ce l'avemo qua!
Godemese 'sta Roma, dameje giù
finché ce resta un po' de ggioventù.
Se semo accorti che l'anni più belli
l'avemo perzi come giocarelli
ma che fregnoni!
Mò famela finita che ancora ce conviene...
Guardamese e volemese più bene!
Alvaro Amici
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Roma
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mercoledì 18 luglio 2012
Una proposta per la Giovane Italia
Nell'imbarazzante silenzio di molti dirigenti, Berlusconi è riuscito in pochi minuti a distruggere tutto ciò che aveva costruito negli ultimi mesi.
Con la recente dichiarazione di autocandidatura alla Presidenza del Consiglio (Galeazzo Bignami ci ricorda come sia la sesta volta... forse un po' troppo), sfociata poi in un nostalgico sogno restauratorio, il Cavaliere ha messo arbitrariamente la parola "fine" al percorso virtuoso intrapreso dal Pdl per trasformarsi in un Partito vero, capace di sopravvivere a lui stesso, soggetto come tutti all'impietosa ma democratica azione dell'anagrafe. Tesseramento, congressi, potere agli organi intermedi, promessa di primarie... Tutto cancellato dalla sera alla mattina, come effimeri disegni di gesso sulla lavagna del nostro futuro, che così è ritornato nero.
Malgrado qualcuno lo scriva senza fermarsi troppo a pensare (attività stancante e demodé, per chi ha l'inguaribile vizio dell'adrenalina), io non ho alcun "livore" nei confronti di Berlusconi. Pur non essendo mai stato un liberale l'ho votato convintamente più volte, e gli riconosco un ruolo cruciale nella storia d'Italia.
Ciò che mi risulta odioso e incomprensibile è come si possa nominare un segretario di Partito, degli organi statutarii, chiedere i soldi agli elettori per le tessere, organizzare congressi, e poi continuare a decidere tutto da soli, seguendo il proprio umore o peggio la propria strategia personale.
E ancora più incomprensibile mi risulta come sia possibile, per Alfano, sostenere di condividere la richiesta di 100% democrazia proveniente dalla base e dal movimento #ripartiredazero, e al tempo stesso sostenere candidamente, come se non ci fosse una stridente contraddizione, che se si candida Berlusconi non c'è bisogno di primarie.
Questa incoerenza, questa incongruenza che ha il sapore della sudditanza è ciò che gli elettori non tollerano del PdL.
E ciò che più non concepisco è come questa incoerenza possa essere digeribile ai più giovani. Alla notizia della ricandidatura di Berlusconi la base della Giovane Italia e molti dirigenti sono piombati nella valle dello scoramento di cui parlava Codreanu, e hanno espresso la propria contrarietà a questo diritto, nuovamente negato, a dire la propria. Ma fra le mille voci di sdegno ciò che risalta sono gli inaccettabili "Sissignore!" provenienti da alcuni dirigenti giovanili. Costoro esultarono quando Alfano promise le primarie, e allo stesso modo esultano ora che se le è rimangiate.
Io credo fermamente che fare le primarie debba essere un obiettivo primario (appunto!) soprattutto dei più giovani. Sarebbe bello che la Giovane Italia si schierasse compatta nella serena, positiva, entusiastica richiesta di celebrare queste benedette primarie per il candidato Presidente del Consiglio.
Sarebbe davvero un bel segnale da dare. Agli elettori del PdL e all'Italia intera. Voi che ne pensate?
giovedì 12 luglio 2012
Prove tecniche di dittatura
Non c’erano dubbi: sotto l’immagine di un uomo-robot dedito a far
andare dritti i conti pubblici, e reintrodurre l’onestà e a salvare la povera
Italia si nascondeva un cripto-dittatore tecnocratico.

L’impunità con la quale vengono fatte queste affermazioni è veramente
preoccupante. Che tutte le anime belle dei diritti democratici,
dell’antifascismo militante e della resistenza partigiana a oltranza non
insorgano contro un presidente del Consiglio che vuole garanzie che il popolo
“non decida”, dopo una guerra civile per ottenere questo diritto, è una
vergogna ulteriore e disgustosa. Se qualcuno vorrà impedire alla gente di
esercitare il proprio diritto al voto, e quindi di votare contro le manovre
salva-banche e salva-poteri forti, fatte sulla pelle dei più poveri, ci sarà
davvero da imbracciare le armi. Perché è proprio questo il punto: queste
manovre non servono a “salvare” l’Italia. L’Italia, quella fatta di lavoro
reale, di operai, imprenditori, artigiani, pensionati, studenti e famiglie, non
corre rischi concreti oltre quelli che provengono dal suo stesso governo.
L’attuale mancanza di liquidità mette soltanto a rischio i grandi investitori,
gli speculatori, coloro che giocano con lo spread e con i titoli di Stato senza
curarsi del fatto che quei titoli finanziano l’economia di uno Stato fatto di
sessanta milioni di anime, di persone vere, di bocche da sfamare.
La crisi del debito è una banalissima crisi di liquidità, che si
risolverebbe molto facilmente stampando la moneta necessaria a far sì che i
cittadini ricomincino a scambiarsi beni e servizi. Perché la vera ricchezza sono i beni e i servizi, non la moneta che è e deve
essere soltanto un mezzo. La carestia è una tragedia, non la mancanza di
moneta. Quando i granai sono pieni la ricchezza c’è, e la moneta deve servire
soltanto a scambiarsela.
Ma chi specula sulla moneta, chi presta il denaro a interesse, chi
addirittura lo stampa e lo introduce a interesse nel sistema, sono loro che
vedono a rischio i propri investimenti, e sono soltanto loro che impongono
misure inaccettabili per garantire che tutti noi versiamo i nostri soldi per
pagare un interesse su un debito contratto con i privati, perché fornissero la
moneta con cui scambiare beni e servizi.
È questo lo scandalo. Non siamo poveri, siamo soltanto indebitati fino
al collo con grandi poteri privati a
cui qualcuno ha permesso di esercitare un diritto che dovrebbe essere dello
Stato stesso.
Chiedetevi una cosa semplice: se lo Stato è sovrano perché deve
chiedere i soldi? Può stamparli e introdurli sul mercato senza fare debito! Ma non lo fa, li chiede in prestito a interesse alla Banca Centrale, che è un organismo privato di proprietà delle banche commerciali! Questo
significa che lo Stato rinuncia a un suo diritto (la sovranità monetaria) che
decide arbitrariamente di affidare a un privato, al quale chiede che stampi
soldi e glieli presti: così facendo potrà pagare il debito contratto per farsi
stampare soldi in passato, e nel frattempo si indebiterà ulteriormente. Un
circolo vizioso senza fine: non vi illudete, non c’è modo di uscirne.
Nel tentativo di ridurre il debito noi ci stiamo indebitando ancora, e
ancora. Monti con le sue misure sta soltanto garantendo che si paghino i debiti
a questi privati, con le misure che tutti conosciamo: IMU, riduzione delle
pensioni, licenziamenti, dramma degli esodati… tutto per ripagare chi esercita
in monopolio un diritto di tutti noi. E come non bastasse adesso vuole anche toglierci il diritto di votare
chi riteniamo più adatto a governare!
Ha paura che chi verrà dopo di lui avrà il coraggio di adottare
l’unica soluzione possibile allo strangolamento senza fine: rigettare il
debito. L’ha fatto l’Argentina rifiutando di pagare gli ingiusti interessi che
la soffocavano, e oggi la sua economia cresce a un ritmo vertiginoso.
E come si fa? È semplice, ce lo ha ben spiegato il Marchese del
Grillo: “Voi sapé la procedura? Io i sordi nun li caccio e tu nun li becchi”.
Sono usurai senza scrupoli: ci stanno sfilando i soldi dalle tasche
letteralmente per arricchirsi. Mandiamoli a casa. Anzi mandiamoli in
galera.
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martedì 10 luglio 2012
Colpirne uno per educarne cento
Comunque la si pensi va detto: la condanna di Alberto "Zippo" Palladino è una vergogna.
In un paese in cui non si va in galera praticamente mai, in cui il capitano Schettino è libero e felice con 32 morti sulla coscienza, in cui Erika e Omar possono costruirsi una vita dopo aver annientato una famiglia intera, in cui Stefano Lucidi dovrà farsi soltanto 5 anni (salvo sconti) dopo aver mandato al Creatore due fidanzatini di 22 e 23 anni... in un paese del genere una condanna a 2 anni e 8 mesi per una scazzottata è una vergogna disgustosa, che purtroppo dimostra ancora una volta che il potere giudiziario non è realmente indipendente.
Nessuno può sinceramente negarlo: la condanna di Palladino è parte di un piano di intimidazione di stampo politico, inaccettabile in una democrazia parlamentare.
La legge è uguale per tutti, ma non tutti sono uguali per la legge.
In un paese in cui non si va in galera praticamente mai, in cui il capitano Schettino è libero e felice con 32 morti sulla coscienza, in cui Erika e Omar possono costruirsi una vita dopo aver annientato una famiglia intera, in cui Stefano Lucidi dovrà farsi soltanto 5 anni (salvo sconti) dopo aver mandato al Creatore due fidanzatini di 22 e 23 anni... in un paese del genere una condanna a 2 anni e 8 mesi per una scazzottata è una vergogna disgustosa, che purtroppo dimostra ancora una volta che il potere giudiziario non è realmente indipendente.
Nessuno può sinceramente negarlo: la condanna di Palladino è parte di un piano di intimidazione di stampo politico, inaccettabile in una democrazia parlamentare.
La legge è uguale per tutti, ma non tutti sono uguali per la legge.
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venerdì 6 luglio 2012
D'amar pieno
Che lontan m’arde, e sè con seco agghiaccia
Provo una forza in due leggiadre braccia
Che muove senza moto ogni altro peso.
mercoledì 4 luglio 2012
È proibito
È proibito piangere senza imparare,
svegliarti la mattina senza sapere che fare
avere paura dei tuoi ricordi.
È proibito non sorridere ai problemi,
non lottare per quello in cui credi
e desistere, per paura.
Non cercare di trasformare i tuoi sogni in realtà.
È proibito non dimostrare il tuo amore,
fare pagare agli altri i tuoi malumori.
È proibito abbandonare i tuoi amici,
non cercare di comprendere coloro che ti stanno accanto
e chiamarli solo quando ne hai bisogno.
È proibito non essere te stesso davanti alla gente,
fingere davanti alle persone che non ti interessano,
essere gentile solo con chi si ricorda di te,
dimenticare tutti coloro che ti amano.
È proibito non fare le cose per te stesso,
avere paura della vita e dei suoi compromessi,
non vivere ogni giorno come se fosse il tuo ultimo respiro.
È proibito sentire la mancanza di qualcuno senza gioire,
dimenticare i suoi occhi e le sue risate
solo perché le vostre strade hanno smesso di abbracciarsi.
Dimenticare il passato e farlo scontare al presente.
È proibito non cercare di comprendere le persone,
pensare che le loro vite valgano meno della tua,
non credere che ciascuno tenga il proprio cammino
nelle proprie mani.
È proibito non creare la tua storia,
non avere neanche un momento per la gente che ha bisogno di te,
non comprendere che cio’ che la vita ti dona,
allo stesso modo te lo puo’ togliere.
svegliarti la mattina senza sapere che fare
avere paura dei tuoi ricordi.
È proibito non sorridere ai problemi,
non lottare per quello in cui credi
e desistere, per paura.
Non cercare di trasformare i tuoi sogni in realtà.
È proibito non dimostrare il tuo amore,
fare pagare agli altri i tuoi malumori.
È proibito abbandonare i tuoi amici,
non cercare di comprendere coloro che ti stanno accanto
e chiamarli solo quando ne hai bisogno.
È proibito non essere te stesso davanti alla gente,
fingere davanti alle persone che non ti interessano,
essere gentile solo con chi si ricorda di te,
dimenticare tutti coloro che ti amano.
È proibito non fare le cose per te stesso,
avere paura della vita e dei suoi compromessi,
non vivere ogni giorno come se fosse il tuo ultimo respiro.
È proibito sentire la mancanza di qualcuno senza gioire,
dimenticare i suoi occhi e le sue risate
solo perché le vostre strade hanno smesso di abbracciarsi.
Dimenticare il passato e farlo scontare al presente.
È proibito non cercare di comprendere le persone,
pensare che le loro vite valgano meno della tua,
non credere che ciascuno tenga il proprio cammino
nelle proprie mani.
È proibito non creare la tua storia,
non avere neanche un momento per la gente che ha bisogno di te,
non comprendere che cio’ che la vita ti dona,
allo stesso modo te lo puo’ togliere.
lunedì 2 luglio 2012
Requiescant in pace
A Roma, presso il muro torto, esiste un luogo dimenticato dai contemporanei. Si tratta del cimitero sconsacrato, dove fino al 1870 venivano seppelliti i condannati a morte che rifiutavano i sacramenti prima dell'esecuzione.
Lì, sotto qualche metro di terra, riposano ancora i corpi decollati di Angelo Targhini e Leonida Montanari, resi immortali dal sacrificio ricordato in una lapide di Piazza del Popolo, oltre che dal film "Nell'anno del Signore" di Luigi Magni.
Targhini e Montanari erano due carbonari rivoluzionari che combattevano per la libertà. Decisero di uccidere un traditore in un'imboscata, nelle buje vie che da Sant'Andrea della Valle portavano a Campo de'Fiori: fallirono, e la vittima ferita non a morte li denunciò. Il Papa e Mastro Titta fecero il resto: in un giorno di novembre di 187 anni fa furono condotti alla Porta del Popolo di fronte a una folla impressionante e lì ghigliottinati, dopo aver rifiutato ogni conforto spirituale dagli inquietanti e pii frati dell'Arciconfraternita di San Giovanni Decollato. I loro corpi non poterono essere seppelliti nel chiostro della bella Chiesa cinquecentesca dei frati al Foro Romano, come invece gli altri condannati a morte, perché costoro non si erano pentiti di fronte al patibolo e avevano rifiutato i sacramenti. Mastro Titta racconta che avevano anzi affrontato la morte irridenti come i rivoluzionari di epoca romantica sapevano fare.
I loro corpi e le loro teste furono quindi condotte fuori dalla città, attraverso la stessa porta oggi attraversata ogni giorno da migliaja di turisti giapponesi americani e russi ignari di dove si trovino. Furono condotti lungo le mura sulla destra e seppelliti lì, dopo la curva, dove da secoli venivano inumate prostitute e briganti non pentiti, fuori dalla città sacra, indegni della terra consacrata. Proprio in quel punto si trovava il confine della villa dei Borghese, e proprio lì principiava la via delle Tre Madonne, così chiamata dalle tre immagini sacre che si incontravano percorrendola, di cui rimane il solo tronco settentrionale ai colli Parioli.
Oggi il grigio modernismo utilitarista ha occupato questa parte di Roma con una trafficatissima e "utilissima" arteria, traboccante traffico automobili smog lamiere clacson caos caldo rumore. Le automobili passano a migliaja ignare accanto ai corpi di Targhini e Montanari, le cui teste spiccate sorridono ancora ai poveri resti delle prostitute al loro fianco. La brutta strada sembra tuttavia provare pietà: corre lungo le mura per quasi tutto il suo percorso, ma in questo punto se ne discosta di qualche metro, come per lasciare spazio all'antico cimitero: un'anonima aiuola verde, la cui terra resta lieve ai morti.
Ho la ventura di passare ogni giorno a fianco a questo luogo dimenticato. Ogni giorno recito a bassa voce una preghiera per i tanti corpi che contiene, e in particolare per quei due patrioti sognatori, che contibuirono a modo loro a costruire la libertà d'Italia.
Ora che lo sapete fatelo anche voi. Passando distrattamente in quel luogo dedicate loro un pensiero, fatevi il segno della croce e recitate una preghiera. Preghiamo perché - riconciliati con Dio - veglino su questa povera Italia nostra.
Requiem aeternam dona eis, Domine,
et lux perpetua luceat eis.
Requiescant in pace.
Amen
Lì, sotto qualche metro di terra, riposano ancora i corpi decollati di Angelo Targhini e Leonida Montanari, resi immortali dal sacrificio ricordato in una lapide di Piazza del Popolo, oltre che dal film "Nell'anno del Signore" di Luigi Magni.
Targhini e Montanari erano due carbonari rivoluzionari che combattevano per la libertà. Decisero di uccidere un traditore in un'imboscata, nelle buje vie che da Sant'Andrea della Valle portavano a Campo de'Fiori: fallirono, e la vittima ferita non a morte li denunciò. Il Papa e Mastro Titta fecero il resto: in un giorno di novembre di 187 anni fa furono condotti alla Porta del Popolo di fronte a una folla impressionante e lì ghigliottinati, dopo aver rifiutato ogni conforto spirituale dagli inquietanti e pii frati dell'Arciconfraternita di San Giovanni Decollato. I loro corpi non poterono essere seppelliti nel chiostro della bella Chiesa cinquecentesca dei frati al Foro Romano, come invece gli altri condannati a morte, perché costoro non si erano pentiti di fronte al patibolo e avevano rifiutato i sacramenti. Mastro Titta racconta che avevano anzi affrontato la morte irridenti come i rivoluzionari di epoca romantica sapevano fare.
I loro corpi e le loro teste furono quindi condotte fuori dalla città, attraverso la stessa porta oggi attraversata ogni giorno da migliaja di turisti giapponesi americani e russi ignari di dove si trovino. Furono condotti lungo le mura sulla destra e seppelliti lì, dopo la curva, dove da secoli venivano inumate prostitute e briganti non pentiti, fuori dalla città sacra, indegni della terra consacrata. Proprio in quel punto si trovava il confine della villa dei Borghese, e proprio lì principiava la via delle Tre Madonne, così chiamata dalle tre immagini sacre che si incontravano percorrendola, di cui rimane il solo tronco settentrionale ai colli Parioli.
Oggi il grigio modernismo utilitarista ha occupato questa parte di Roma con una trafficatissima e "utilissima" arteria, traboccante traffico automobili smog lamiere clacson caos caldo rumore. Le automobili passano a migliaja ignare accanto ai corpi di Targhini e Montanari, le cui teste spiccate sorridono ancora ai poveri resti delle prostitute al loro fianco. La brutta strada sembra tuttavia provare pietà: corre lungo le mura per quasi tutto il suo percorso, ma in questo punto se ne discosta di qualche metro, come per lasciare spazio all'antico cimitero: un'anonima aiuola verde, la cui terra resta lieve ai morti.

Ora che lo sapete fatelo anche voi. Passando distrattamente in quel luogo dedicate loro un pensiero, fatevi il segno della croce e recitate una preghiera. Preghiamo perché - riconciliati con Dio - veglino su questa povera Italia nostra.
et lux perpetua luceat eis.
Requiescant in pace.
Amen
venerdì 29 giugno 2012
#NoEsm!
Programma per il fine settimana:
1. Informarsi cosa è l'ESM.
2. Scoprire quanto è grave l'ESM.
3. Arrabbiarsi
1. Informarsi cosa è l'ESM.
2. Scoprire quanto è grave l'ESM.
3. Arrabbiarsi
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giovedì 28 giugno 2012
Coraggio e coerenza: questi sconosciuti. Tre domande per la Giovane Italia

A parte i video agiografici di persone ancora in vita, le musichette da cabaret e le solite scene un po' patetiche di adorazione collettiva, la tre giorni di Fiuggi è stata un momento di confronto assolutamente positivo per i dirigenti che hanno finalmente avuto l'occasione di confrontarsi di nuovo sulla politica locale, nazionale, europea e di elaborare proposte concrete.
Anche il titolo #Oraleproposte, che non mi aveva trovato entusiasta (avrei preferito #Oraleproteste, o #Oralarivoluzione) è risultato comunque uno stimolo per provare a superare le legittime differenze culturali e di storia politica, e confrontarci costruttivamente per individuare battaglie politiche comuni per la Giovane Italia.
Una di queste battaglie era quella contro la assurda, indegna, vergognosa riforma del mercato del lavoro proposta dalla Fornero: con grandi dichiarazioni di intenti, tutti contenti, abbiamo delegato la nostra voce al deputato di riferimento della GI, il coordinatore Annagrazia Calabria. La quale ha recepito le richieste di Fiuggi e si è assunta l'onere di rappresentarlo davvero, questo mondo giovanile: "La riforma del mercato del lavoro che sta per essere approvata penalizza fortemente le nuove generazioni e per questo ho deciso di non votarla" ha detto in un sussulto di orgoglio, condiviso dalla stragrande maggioranza della Giovane Italia. (per leggere il comunicato clicca qui e qui).
Fin qui tutto bene.
Ciò che scopriamo invece senza alcun piacere è che in sede parlamentare Annagrazia la suddetta riforma l'ha votata eccome: negli articoli 2, 3 e 4 sui quali il governo ha posto la fiducia.
Un po' di considerazioni dunque:
1. Io comprendo come per motivi di realismo politico e di disciplina di partito a volte ci si ritrovi costretti a votare provvedimenti che non si approvano completamente. Per la verità è una pratica che non condivido (ciascuno è responsabile delle proprie azioni) ma che capisco. Quello che mi chiedo è: perché allora rilasciare dichiarazioni pubbliche nelle quali si promette di fare il contrario? Perché non ammettere in tutta onestà che questa riforma è una immondizia, ma bisognava votarla?
2. Il movimento giovanile dovrebbe, anzi deve essere la voce "contro" per definizione. E' il movimento dei giovani, di quelli che non scendono a compromessi, quelli ribelli e indisciplinati per definizione. I giovani sono sempre tutti un po' estremisti e guasconi, difficilmente controllabili nel loro inseguire il sogno della rivoluzione. E allora come è possibile che non si possa neppure rivendicare il diritto a votare no su una questione come questa? Com'è possibile che l'onorevole Guido Crosetto, dall'alto dei suoi 48 anni, dimostri più coraggio dei giovani e si assuma la responsabilità di dire chiaramente "NO", non solo nei comunicati o su twitter ma anche nelle aulee parlamentari?
3. Che senso hanno i momenti di confronto fra dirigenti, le tre giorni, le assemblee, i dibattiti, se poi le posizioni condivise da tutti non si traducono in atti concreti, in "proposte" appunto, e quindi in voti parlamentari?
Sono domande che non credo troveranno risposta. Tutto quello che possiamo fare è porle, scriverle, riportarle, insistere... Perché oggi il futuro dei giovani che presumiamo di rappresentare è nelle nostre mani. In quelle stesse mani che premono un pesantissimo pulsante a Montecitorio, assumendosi la responsabilità di dire di sì, o di no.
lunedì 25 giugno 2012
Anima collettiva in elastico ardente
Continuità di gesto
di pensiero
di azione
sequenza di parole
la terra che calpesto
il firmamento
la pioggia
il vento
il sole
la vita che nasce
la vita che cresce
la vita che muore
il soffio del respiro
il fluire del sangue
il pulsare del cuore
materia
carne
corpi
paura
rabbia
amore
serenità
dolore
Anima collettiva in elastico ardente
s'allunga sottile
si tende
si ritrae
s'attorciglia
s'annoda e si distende
regge l'impossibile e si spezza di niente
regge l'impossibile e si spezza di niente
regge l'impossibile e si spezza di niente.
Giovanni Lindo Ferretti
Argomenti:
Lindo Ferretti,
poesia
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mercoledì 20 giugno 2012
Il prestito è usura
![]() |
Immagine di Flod http://www.flickr.com/photos/flod/ |
Il prestito a interesse è usura. Non è una posizione ideologica, è un dato di fatto: chi presta denaro a interesse è a tutti gli effetti un usurajo, perché specula sul tempo: e il tempo non è a nostra disposizione e non è lecito scommetterci su. La stessa Chiesa nel medioevo vietava ai cristiani di prestare denaro a interesse.
L'altro giorno ho ricevuto un tweet:
"@CatoneIlCensore che interesse dovrei avere a prestare, se non ne ho un vantaggio? Poi possiamo discutere sul tasso"
È proprio questo il problema: domandarsi sempre quale sia il proprio interesse nello svolgere un azione.
Chi presta, lo faccia per spirito di carità, e chieda indietro soltanto ciò che ha prestato.
Una legge lo tradurrebbe così: è vietato qualsiasi prestito il cui interesse superi il tasso di inflazione.
Ovviamente questo significherebbe: chiusura delle banche (che di certo non ci mancheranno), abolizione del sistema fondato sul debito e dei relativi inevitabili suicidi, fallimento del mercato delle "cravatte" e soprattutto ritorno ad una dimensione sociale più umana, meno isterica e frettolosa, in cui si spende solo ciò che si ha. Non di più, non di meno.
Mica male sognare.
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